Vino, le bugie dei sommelier

Vino, le bugie dei sommelier. Lesson Zero / Dove si spiega che scrivere una rubrica sul vino è un’idea bizzarra e un po’ inutile. E dove si racconta che il sommelier è un tizio con un po’ di nozioni e una buona capacità di mentire. Albanese docet.

Ecco, temo di non avere alcuna idea su come cominciare. Pessimo inizio, davvero. Gli inizi sono sempre un po’ imbarazzanti. D’altronde è senza dubbio un’idea balzana scrivere una rubrica sul vino. Che ci scrivi in una rubrica sul vino? Il vino va visto, va annusato, va assaggiato. E a raccontarlo e basta il rischio del ridicolo è dietro l’angolo. É un terreno minato, pieno di derive. C’è il consistente pericolo di ritrovarsi a incarnare l’archetipo del sommelier affettato e teatrale che inneggia con giubilo ad eccezionali sentori di merde de poule o ad evidenti note di cardamomo dell’Africa sud-sahariana, o peggio del wine writer sbrodolatore di neologismi buffi e criptici, vittima inconsapevole dei propri deliri narcisistici e di tecnicismi usati come armi (di gomma) per creare sudditanza e autocompiacimento.

vino rosso fresco

La verità è che parlare di vino in maniera semplice è più complicato che parlarne in maniera complicata. Allora comincerei con un’immagine, così, per rompere il ghiaccio. Una divertente e arcinota satira di Antonio Albanese. La presa in giro del sommelier che, nonostante e anzi proprio per l’appartenenza alla categoria, mi strappa sempre un sorriso. C’è un Albanese in divisa, padellino (tastevin) al collo e bicchiere da degustazione in mano. Musica impertinente di sottofondo e lui, concentratissimo, che rotea per minuti il calice. Un’attesa infinita, volteggi scenografici, occhio concentrato e vigorose olfazioni. Alla fine di tutto ‘sto teatrino ti aspetteresti per lo meno un riconoscimento olfattivo astruso e impattante. Che so, una foglia di tè dello Sri Lanka, un profumo di pietre di fiume dell’Alpe di Siusi, un sentore di incenso del mercato coperto della periferia del Cairo…e invece no. Smette di roteare, smette di annusare e dichiara: è bianco.
Geniale, un trionfo dell’ovvietà, una lapalissiana ma sudata verità. Insomma, è per dire che quando si parla di vino è meglio non prendersi troppo sul serio, che è cosa buona e giusta lasciare a casa il lessico ipertrofico e l’atteggiamento da stravagante demiurgo. Poi per carità, qualche barocchismo o qualche svolazzo poetico impreziosisce il logos vinoso, ammalia e attrae. D’altronde si parla di vino e non di finanza. Ed è ben più seducente il vino raccontato da un carismatico Mario Soldati, da un poetico Veronelli o da uno struggente Baudelaire che descritto dagli appunti tecnico-scientifici dell’enologo.
Molto meglio parlare di fiori d’arancio e biancospino piuttosto che di linalolo e aldeide anisica. In più, tornando alla temuta figura del sommelier, tocca aggiungere un’altra necessaria e scomoda verità. Il sommelier non è un santone (a volte può essere un incantatore), non è un negromante dal naso miracoloso ma è, almeno un po’, un mentitore. I fuoriclasse sono davvero pochi, e anche dopo i tre livelli AIS – a mio avviso i corsi più completi che si possano fare in Italia per diventare sommelier – non acquisirete alcun superpotere e non riuscirete affatto ad indovinare un vino alla cieca con una semplice snasata o un micragnoso assaggino. Figuriamoci quanto potrete apprendere da una rubrica sul vino…
Magari imparerete qualche trucco o vi sarà utile qualche consiglio per acquisire una buona tecnica della menzogna che, supportata da un briciolo di conoscenza, sarà un’ottima base per districarvi nel mondo di Bacco. Partirei da questo, un utile per quanto banale e pedante primo consiglio per approcciare la degustazione: fare sempre attenzione a ciò che si ha nel bicchiere. Vale lo stesso principio che vige per la lettura. É del tutto inutile leggere qualcosa pensando ad altro, alla fine della pagina ci si renderà conto di aver accarezzato con lo sguardo righe su righe senza avere idea del loro contenuto. Così toccherà tornare indietro al punto in cui la mente è volata via per altri lidi. Col vino al massimo si può andare avanti e l’ovvia conseguenza è che ci si capirà ancora meno. Insomma, sta a voi.
L’approccio al vino e la degustazione vanno vissuti come un’esperienza sinestetica, un coinvolgimento completo di sensi e percezione. Il piglio da invasato romantico, da appassionato sentimentale che si emoziona davanti a una grande bottiglia, se ben gestito, può servire. Rende tutto più magico e pittoresco. Perché il vino, diceva Gino Veronelli, «si concede solo a chi aspira alla sua anima oltre che al corpo. Apparterrà a colui che lo sa scoprire con delicatezza».

di Livia Belardelli – sommelier Master Class

(continua)