
A un certo punto un produttore del Vivit, seconda edizione dei vini naturali al Vinitaly (di cui abbiamo parlato qui per l'irruzione della repressione frodi), è sbottato: "Ma perché c'è questa fila? Ma fateli passare, di cosa avete paura? Ci volete boicottare?". La povera addetta all'entrata ha replicato come poteva, ma l'incidente è il sintomo di un malessere diffuso. Già, perché i signori del Vinitaly hanno "generosamente" concesso ai vignaioli naturali di essere presenti. Ma li hanno relegati nel padiglione più lontano dall'ingresso, in una sezione piccola e recintata: "Una gabbia", commentano in molti.
L'eterna lotta fratricida tra i vignaioli, divisi in diverse associazioni, non aiuta di certo. E così chi ha deciso di venire al Vinitaly viene più o meno velatamente accusato di connivenza con il "nemico". Pochissimi i produttori che hanno scelto di stare contemporaneamente al Vivit, a Cerea (Viniveri, nella foto in alto) e a Villa Favorita (Vinnatur). La brava Elena Pantaleoni, della Stoppa, allarga le braccia, un po' stufa delle polemiche: "L'altra sera sono stata alla cena finale di Cerea. E' stato emozionante, noi produttori siamo soprattutto amici e lì c'è un clima splendido". Ma il mercato ha le sue necessità: "E infatti siamo qui. Però ricordiamoci che le fiere durano tre giorni, poi c'è il resto dell'anno". Certo, ma se non si vuole rinchiudersi nell'autoreferenzialità, far provare i vini a chi già li conosce e li ama, non resta che aprirsi al mondo. E Vinitaly potrebbe essere una bella porta di ingresso. Se non fosse che la porta è stretta e conduce a un budello.
C'è di più. Paradosso dei paradossi, al Vinitaly il vino non si può vendere. I non addetti ai lavori ci rimangono male. Ma come, mi fate assaggiare un vino, che mi piace e che vorrei comprare e mi dite di no? Ma anche gli addetti ai lavori ci restano male: anche perché per la postazione al Vinitaly pagano almeno 1600 euro (contro i 600 di Cerea) e un ritorno economico, oltre che di immagine non sarebbe male. Gianpaolo di Gangi, che ha lavorato per anni a Porthos e ora ha appena (co)scritto un bel libro sul vino naturale (di cui parleremo presto), si fa spazio tra la folla: "Via via, mi sento soffocare, devo uscire da qui".
Detto questo, resta il punto. Come spiega Valentin Montanet, del Domaine de la Cadette (presente sia a Cerea sia a Vivit), "in Francia chi ha perso il treno del vino naturale ora non riesce più a vendere. Succederà anche in Italia". Possibile, ma le grande aziende stanno correndo ai ripari, come spiega Claudia Carretti, di Podere Pradarolo: "Antinori fa il vino senza solfiti, mettendoci dentro l'ozono. E Zonin ha una linea di vini biologici". Che fare? Il termine naturale non aiuta: "Forse abbiamo sbagliato a usarlo – dice Alberto Carretti, di Podere Pradarolo – Non si può neanche mettere in etichetta, chissà perché, visto che per lo yogurt si può". E chissà perché a Oscar Farinetti hanno concesso l'uso del termine "Vino libero", come se ci fossero dei vini schiavi (a parte la schiava…). Comunque sia, conclude Claudia, è ora di farla finita: "Siamo formichine, mettiamoci insieme e facciamo fronte comune. E se possibile facciamo una sola grande manifestazione con tutti i produttori. Lasciando perdere le attuali associazioni, che spesso servono solo a far fare soldi ai loro dirigenti e associati".