C’è vita oltre la carbonara? “Sì“, ma per lo chef Arcangelo Dandini (L’Arcangelo, Chorus, Supplizio, Garum) “la vera sfida è sublimarla“. Lo abbiamo interpellato per chiedergli una sua opinione sulle parole del collega Luciano Monosilio, che commentando il video dei ristoratori di Fiumicino, intenti a cucinare abusivamente davanti al Colosseo, ricorda come la cucina romana sia anche altro rispetto alla pasta con uovo, guanciale, pecorino e pepe. Monosilio, inventore della carbocrema, una versione cremosissima dell’iconico piatto, ideata quando lavorava da Pipero, cui ha fatto guadagnare una stella Michelin, tramite le pagine di Repubblica ora dice “stop” alla sua stessa creatura, scatenando, ça va sans dire, la polemica, di cui ha parlato anche il Gambero Rosso.
“Dobbiamo tornare alla normalità e a fare il nostro“, aggiunge Monosilio, in un momento storico in cui l’estetica del cibo e la sua “instagrammabilità” hanno portato alla celebrazione del fenomeno del “food porn”. Una situazione che inizia a stare stretta agli chef, spesso costretti a venire incontro alle aspettative immaginarie di chi ha visto il piatto via social e così se lo aspetta, magari con l’obiettivo di creare un contenuto, prima ancora che assaporare la pietanza.
Arcangelo Dandini: “Sublimare, non ridondare”
“Dire basta alla carbonara sarebbe illogico commercialmente“, ci spiega Dandini, altro dominus del piatto, nonché co-autore insieme a Berta Bozzi del libro “Memoria a Mozzichi” (Aliberti Editore), in cui racconta la grande varietà ed evoluzione della cucina romana, divisa in quattro tempi, da quella dell’Antica Roma a quella pastorale-testaccina. “Facciamo bene a offrire questi piatti conosciuti, ma la cucina romana è ricchissima di tanti altri ingredienti e alimenti, dal pesce alla carne. La carbonara è considerata un comfort food, la ho sempre in carta, ma nel mio piccolo in cucina metto in menu anche molto altro, come le animelle, gli schienali o il cervello. C’è tutta la cucina ebraico romanesca, che parla di verdure, pesce, formaggi e uova. Ho anche piatti rinascimentali come i ravioli di cipollata o ancora il piccione. La carbonara si può continuare a fare, ma l’importante, è che sia fatta bene, educata, cucinata con prodotti che arrivano da filiera certa”.
“C’è un eccesso di attenzione all’apparenza del piatto, un’ostentazione – aggiunge lo chef, in riferimento al fenomeno del food porn -. La mia carbonara è lineare, sono stato il primo a togliere albume e pepe. Da me mangi un piatto che ha un peso specifico diverso rispetto agli altri. Non caricata. Se metto più pecorino non è che sento più sapore. La vera rivoluzione in campo nella cucina della tradizione è migliorare al massimo le materie prime. Uso i pepi migliori al mondo, me li tosto, prendo il pecorino di Gavoi e manteco a freddo. Questa per me è la rivoluzione, non fare chissacché. Non hai 12 ingredienti, ma pochi. L’atteggiamento giusto è quello di sublimare l’ingrediente, portarlo alla massima bontà e naturalezza, con le tecniche che abbiamo oggi. Togliere, non ridondare. Fare il contrario sarebbe un’opulenza sbagliata“.