Le stroncature gentili di Er Murena a Milano, la minicarta dei vini e le scritte emozionali

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Le stroncature gentili di Er Murena a Milano, la minicarta dei vini e le scritte emozionali

La nobile arte della stroncatura

La nobile arte della stroncatura è sempre stata negletta dalla stampa italiana, che dietro la scusa di non voler mancare di rispetto ai lavoratori, nasconde spesso la corrività di un giornalismo prezzolato, l’ambiguità di una confusione di ruoli, l’eterno “volemose bene” che vede il recensore, anticipato da squilli di tromba, entrare in sala e abbracciare lo chef e il proprietario, pronto a dileguarsi senza pagare alcunché. Noi, si sa, siamo ostili, che dico ostili, antropologicamente avversi alla logica del familismo amorale.

Non teniamo famiglia, se non il lettore. E rispettiamo sommamente i lavoratori della ristorazione, dallo chef iperstellato all’oscuro cuoco di provincia, dal lavapiatti al cameriere, dal sommelier all’ufficio stampa. Il lavoro va sempre rispettato, se fatto con onestà e con impegno. Gli errori ci stanno. La malafede, il menefreghismo, il pressapochismo no.

E dunque quando si tratta di stroncare, non ci tiriamo indietro. Senza indulgere in populismi da quattro soldi, senza offendere e insultare. Mi piacerebbe che tutti si dilettassero, di tanto in tanto, in questa nobile arte. Io, nel mio piccolo, anche ora che sono stato deportato a Milano, mi diletto.

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Laesse romagnola e il Marè

D’accordo, è impossibile replicare la stessa atmosfera di un locale. Se stai a Cesenatico e hai un posto come il Marè, con intorno il mare e quella spiaggia meravigliosa e quella gente di Romagna fantastica, poi è ovvio che arrivi sui Navigli e non è la stessa così e ti intristisci un po’. Magari la tagliatella è buona uguale, ma tu ti guardi intorno e senti un sapore diverso. Il Marè milanese, peraltro, non è affatto male. Prendiamone un altro, però, La Esse romagnola, appena aperto e molto pubblicizzato. Arriva direttamente da Rimini e ora eccocelo nel caos moderno e trendy di via Tortona, quella della settimana del design. I passatelli sono passabili e pure le tagliatelle, la cameriera con piercing pare proprio romagnola (a meno che non imiti l’accento, ma tendiamo a escluderlo). Ma poi alle pareti spuntano tipo aratri e ciuffi di paglia secca e la misteriosa scritta retroilluminata  su un tappeto di paglia “Lontan da te non si può stare”. Ma da te chi? Te Romagna? Te ristorante? Te paglia? E siamo sicuri che sia molto figo e divertente e innovativo scrivere alle pareti “monelle tagliatelle”? Ne suggeriamo qualcuna, chissà mai (gratis, nessun problema): “Cappelletti benedetti”, “Pappardella tua sorella”, “Lasagnetta poveretta”, “Galletto bulletto” (ah no, questa già c’è in menu).

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Il vino, maledizione

Il preavviso te lo dà il cameriere quando ti porta solo un menu, quello del cibo. E il vino? “E’ dentro, alla fine”. Un sottile malumore si fa strada nel cliente che è in te e che vuole bere bene e non solo lubrificare la gola (qui la fenomenologia del sommelier). Il malumore si fa inconsolabile tristezza quando si arriva “alla fine” e trovi l’elenchino. Prendi La Esse romagnola (nessun accanimento, per altri versi è un posto assolutamente dignitoso, che vale una visita). La Romagna è una terra generosa, che negli ultimi tempi ha visto un grande fiorire di produttori, dediti non solo al lambrusco. Qui invece, prendiamo i rossi, troviamo quattro etichette di Tenuta Santini, un lagrein e un nebbiolo. Sei bottiglie? Sei? Tre produttori? Ma allora uccidetemi e non se ne parla più.
(In foto, lo splendido Timox dei Carpini, al cinese Mu Dimsum: date un’occhiata alla loro carta, giusto per capire che vuol dire aprire un ristorante e non pensare solo ai ravioli)

La Piola

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La Piola è parte di quella categoria di trattorie “sincere” che si portano molto per quei milanesi (e romani) che adorano la tradizione: le tovaglie macchiate, i tavoli stretti, il casino, le comande a voce, i conti non “parlanti”. Noi la proviamo, dopo molti anni, e ci mettono in un tavolino dove siamo praticamente in braccio a questa famigliola in vacanza e in dieci minuti abbiamo assolto il nostro compito. Non ci è piaciuto praticamente nulla, tutto un po’ dozzinale, buttato via (il riso al salto di cui sopra è un esempio). Ma vabbè, il posto è pieno, italiani in trasferta a Milano che cercano cassoeula e cotoletta, e si accontentano, ci sta. Poi però arriviamo al conto e, involontariamente, diamo un occhio alla porta aperta della cucina: un guazzabuglio infernale di cose e di avanzi di cucina impiastricciati sulle piastre. Roba che neanche Cucine da incubo. Ma anche questo è folklore, no amici? Forse bisognerebbe istituzionalizzare per i clienti il giretto in cucina prima di mangiare, specialità del Cannavacciuolo.

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