Piccola Bottega Merenda a Roma: “Un negozio gourmet? Ci fa venire i brividi. Il cibo deve essere accessibile a tutti”

Piccola Bottega Merenda a Roma. Al Tuscolano le vie e le fermate della metro hanno i nomi dei personaggi della storia romana. Da qui a Roma Nord è una traversata continentale: chissà se da quelle parti hanno mai sentito parlare di Piccola Bottega Merenda. Piccola come quei 38 metri quadri più magazzino in Via Anicio Gallo 59. Bottega perché di quello si tratta. Merenda, perché Giorgio Pace e Giulia Martucci che l’hanno aperta odiavano gli aperitivi. Un alimentari molto ricco, con due scaffali per la verdura e la frutta, un banco dei formaggi e dei salumi, un angolo per pane e panini, un frigo per latte, yogurt e burro, un armadio aperto per le bottiglie di vino. E una parete di caffè, biscotti, riso, pasta, pane, legumi, marmellate e tanto altro. Come un tavolino e due sedie: «Le abbiamo lasciate per le signore, come nelle vecchie macellerie in cui c’è la panca per sedersi».

Se c’è una lezione che ci dovrebbe aver insegnato il 2020, è il valore della spesa. Il senso di osservare, scegliere e maneggiare un ingrediente. È proprio a questo che serve un posto come Piccola Bottega Merenda: non tanto a comprare, a casaccio, sotto stress e tra mille nevrosi, ma imparando. «Abbiamo deciso 9 anni fa di dare il via a un’attività perché dovevamo lavorare» ricorda Giulia «Un marchio che ci piaceva apriva un franchising, un negozio di prodotti biologici con somministrazione. Abbiamo provato, ma abbiamo capito subito che in questo quartiere c’è una sensibilità più orientata alla spesa che alla ristorazione. Sarà per questo che non ci sono tanti locali: nessuno apre al Tuscolano». La coppia non ha nel curriculum esperienze commerciali, meno che mai con il cibo. Ma nota da subito che la bottega attrae tanta gente, poco interessata al versante somministrazione. Cambiano nome, fanno dei lavoretti e riaprono poco dopo con un’altra identità, quella di Piccola Bottega Merenda. «Negli ultimi 8 anni siamo l’unico posto di Roma che ha tolto la parte di gastronomia invece di metterla» commenta Giorgio.

Partono con i riferimenti di produttori che avevano: un panificio, un produttore di formaggi, un distributore di frutta e verdura. «Quando ho cominciato e lavoravo con i distributori, anche biologici, mi rendevo conto che la roba faceva schifo, era vecchia e costava un sacco» afferma Giorgio. Da qui si apre la strada per una ricerca diversa, più scrupolosa ma anche più faticosa. «Un giorno conosco questo produttore del Mercato di Via Magna Grecia, si chiama Marco De Angelis. Su un cartellino leggo che fa biodinamica, non sapevo nemmeno cosa fosse. Vedevo solo che la sua roba era bella, fresca, saporita e costava la metà». De Angelis allora aveva 20 ettari di terreno a Maccarese, accetta di rifornire il locale, ma imponendo a Giorgio di venire a prendersi le materie prime. «Andavo da lui alle 6, sceglievo le cose, le caricavo sul furgone, le portavo qui per preparare il negozio e aprire. 4 anni così, tutte le mattine. Mi ha insegnato tutto. A riconoscere le foglie, gli attrezzi agricoli e gli altri agricoltori». Secondo Giorgio è in quegli anni che si è creata la comunità intorno al negozio. «Era un posto trasparente: le persone mi vedevano arrivare, scaricare, vendere. 8 anni fa non era come oggi che va di moda: l’ortofrutta era un covo di anziani. E loro dovevano imparare a fidarsi di me».

Dopo 4 anni, De Angelis muore all’improvviso di infarto. «Ci è rimasta l’idea che, anche se devi fare il più possibile, non puoi morire sul lavoro. Non a caso all’inizio chiudevamo alle 22. Poi alle 21, poi alle 20, oggi alle 19». Questo episodio introduce anche il concetto della mancanza, che da Piccola Bottega è perseguito senza deroghe: «All’improvviso mi sono ritrovato senza fornitore: da qui ho capito che il cibo non arriva tutti i giorni, quando vuoi e quanto vuoi. Quanti hanno il coraggio di arrivare alla fine della serata con il negozio vuoto? Questo scaffale ha i buchi perché dietro c’è un’etica. Non siamo abituati a questo senso di mancanza, ma ad avere negozi strapieni, soprattutto di cibo». Non finge, qualche settimana fa sulla vetrina c’era attaccato un foglio A4 con scritto a mano: «Il latte arriva martedì».

Dopo la perdita di De Angelis, Giorgio fa mente locale sui produttori di cui aveva sentito parlare e ne sceglie alcuni. Per un paio di anni va fino a Magliano Sabina a rifornirsi, dall’azienda agricola Le Spinose. La comunità di fornitori si allarga, le cose migliorano, tanto che in quei 38 metri quadri arrivano a transitare più di 300 referenze. «Ci siamo imposti di ruotare tutto, anche per gli spazi. Difficile che trovi la stessa cosa per due o tre mesi di seguito» dice Giorgio, che sceglie insieme a Giulia i produttori in modo diretto, senza intermediari. «Abbiamo cominciato a conoscere gli approcci prima dei prodotti, a parlare con gli agricoltori, a capire come coltivano il campo. E abbiamo visto cosa fa veramente la differenza. In Italia siamo tanti a produrre. Non trovi strano che, se vai in vacanza, da Nord a Sud, trovi le stesse cose in tutti negozi? Non ti viene l’ansia? Dietro c’è una questione logistica e organizzativa. O ti sdoppi in 400, oppure vai dal distributore, apri un catalogo, scegli».

Da Piccola Bottega infatti non si sente parlare solo di cavolo, pasta, caffè. Ma anche di biodinamica, di agroecologia, di scambio di semi, di permacultura, di rigenerazione, di agricoltura sinergica. E soprattutto si parla, e tanto. «Io sono di legno, ho uno scopo didattico. Se ci metto 3 mesi a portare un’arancia qui, voglio raccontarti cosa c’è dietro. Stiamo provando a rendere dignitoso un prodotto a cui nessuno ha mai dato un significato: la verdura e la frutta. Non è come l’Alice del Cantabrico. Non esiste la cicoria gourmet, siamo seri» chiosa Giorgio.

Per questo i prodotti non vengono scelti tanto per una questione di nome o di visibilità, ma perché rivelano un approccio di valore. «All’inizio per entrare qui dovevi soddisfare due requisiti: in primo luogo la trasparenza. Nell’artigianato dovrebbe essere molto di più che produrre e rivendere. Abbiamo cancellato i numeri di tutti quelli a cui facevamo domande e ci rispondevano: non c’ho tempo. Il secondo requisito è il prezzo: un prodotto deve essere comprabile, accessibile a tutti. Noi non siamo un negozio gourmet, questa parola mi fa venire i brividi. Vogliamo essere la via di mezzo per le famiglie, per quelli a cui rimane il supermercato come unica opzione. Qui è subentrata la cultura contadina per questo: gli agricoltori sono gente che coltiva cose meravigliose per consegnarle ai propri vicini di casa in una cassetta. Se il cibo lo vendi solo a chi se lo può permettere, che senso ha?». Giulia si aggiunge nel trovare e scegliere prodotti che siano semplici, che le persone possano cucinare. «Anche negli ingredienti, pochi, naturali, senza additivi. E poi c’è la questione dell’incarto. Vogliamo essere coerenti: non va bene se hai troppa carta, troppa plastica, troppo vetro».

Intanto è difficile trovare a Roma realtà veramente simili a Piccola Bottega: «Forse perché c’è troppo lavoro da gestire. Noi stessi non riusciamo a starci dietro. Ci vuole un sacco d’incoscienza» spiega Giulia. Negli anni molti prodotti hanno messo piede a Roma per la prima volta grazie all’alimentari di Via Anicio Gallo: quelli de La Sbecciatrice, le conserve artigianali di Faieta, le marmellate di Maestà della Formica, Mimmo De Martino del Parco Nazionale del Cilento, le uova di Fattoria Cupidi, l’Azienda Agricola Janas, Aura il tonno dal Cilento, Alberto Lavarini la bottega del fermentista, Tularù a Rieti. E tanti altri. «Abbiamo provato tante cose» conclude Giulia «Alcune hanno funzionato, altre no. È un perenne lavoro di adattamento, di scoperta e di osservazione».

Piccola Bottega Merenda. Viale Anicio Gallo 59, Roma. Tel. 06 71510455Pagina Facebook