
Meikhane Mafalda a Napoli. I profumi del mondo soffocati dal Coronavirus. E quei 20 metri quadri in via Bellini, dove giovani rifugiati e italiani mischiavano i sapori dei diversi Sud, non ci saranno più. Il ristorantino dell’associazione Tobilì non riuscirà a riaprire il 18 maggio e neppure dopo. Non come era prima, per lo meno. Il progetto? Una bottega di prodotti di qualità, mediorientali e partenopei. E così anche il suo gemello a Castellammare di Stabia.
Un destino che si è abbattuto con lo stesso copione su tutte le piccole attività di ristorazione del centro storico di Napoli e del resto di Italia. Ma per il Meikhane Mafalda, alla sconfitta di un progetto imprenditoriale sepolto sul nascere, si aggiunge la delusione di chi pensava di avercela finalmente fatta.
La storia di Saeid, l’uomo che ha gestito finora il locale napoletano, è esemplare. E’ dovuto fuggire dall’Iran nel 2010, dopo aver partecipato ad alcune manifestazioni contro il regime Ahmadinejad. Aveva 23 anni. Dopo un viaggio molto lungo è arrivato in Campania, ha cominciato a lavorare come lavapiatti e poi come cuoco. Fino all’apertura del Meikhane Mafalda di Castellammare di Stabia e poi di quello di Napoli, dove ha lavorato finora come barman insieme ad altri due dipendenti. (Meikhane in persiano significa osteria mentre Mafalda è il nome della principessa a cui è intitolata la strada dove sorge il locale stabiese).
Il progetto l’ha costruito con l’associazione Tobilì – di cui Saeid è stato presidente fino poco fa- a insieme alla Cooperativa sociale Less. Per mezzo della cucina l’associazione, dal 2016, ha dato una speranza di lavoro e integrazione a molti giovani rifugiati. Nel 2019 con la vittoria del progetto PartecipAzione di Intersos e Unhcr, Tobilì ha realizzato in un istituto professionale della periferia corsi di cucina per ragazzi a rischio di marginalità, sia stranieri che napoletani. E poi la realizzazione del sogno: un ristorante piccolo, un posto accogliente e informale dove i clienti più curiosi andavano per respirare l’intreccio tra le culture, bere vino e mangiare tapas. Un locale dove nel menu trovavano specialità iraniane o di diverse parti dell’Africa accanto a pietanze tipiche napoletane o siciliane, oltre a diversi piatti ideati mischiando le cucine: il polpo di Mergellina servito con l’hummus egiziano, la pizza con la scarola insieme al pollo al curry.
Tutto alla grande, da ottobre del 2019 fino all’11 marzo. Anche con il servizio di catering per grandi eventi. Poi lo stop, tutto fermo per il Covid-19. Nemmeno l’asporto è stato consentito in Campania, ma sarebbe stato in realtà difficile da organizzare per loro. Dunque il mutuo da continuare a pagare, le spese arretrate, il personale in cassa integrazione. I debiti. Dal 18 maggio i due localini non apriranno più, non com’erano prima. Saeid non ci sarà più. Ma Tobilì e Less non si arrendono e vogliono tentare una riconversione: non si sa ancora bene come verrà gestita l’attività, quali dei lavoratori potranno restare, ma si cercherà di andare avanti con la vendita. Si punta a fare del ristorantino, dove il distanziamento sociale e tutte le altre restrizioni non permetterebbero numeri sufficienti per la sopravvivenza, una bottega di prodotti di qualità, provenienti da cooperative sociali e frantoi campani, dal mercato di Istanbul, dai suk marocchini. “L’obiettivo è raggiungere così, nei prossimi sei mesi, l’equilibrio”, spiega Giulio Riccio, direttore generale di Less e socio di Tobilì, che sottolinea il grande sostegno avuto da Banca Etica. “Poi magari, chissà – aggiunge – più in là si ricominceranno a fare i catering per gli eventi e si potremo ripartire. C’è ottimismo, nonostante tutto”.
Meikhane Mafalda, via Bellini 3, Napoli. Pagina Facebook