Intervista a Kaseina, i cacciatori di formaggi artigianali: “Il nostro sogno, un museo della cultura casearia in Lazio”. In Italia c’è un microcosmo di formaggi tutto da scoprire. Giunti sulla strada del buon cacio, che corre parallela a quella del buon vino, ci siamo fatti guidare da una coppia di cacciatori di formaggi artigianali. Con Kaseina abbiamo parlato dei luoghi e delle persone che si celano dietro a un buon formaggio e del matrimonio tra cacio e vino. Ma andiamo per gradi: cos’hanno in comune vino e formaggio, oltre ad essere un matrimonio felicissimo sulle nostre tavole?
In primo luogo, entrambi nascono grazie al lavoro di batteri invisibili, sitospecifici. Come per il lieviti indigeni che trasformano il mosto in vino, i più deliziosi formaggi del pianeta semplicemente non esisterebbero se non grazie al lavoro di batteri e funghi che, con la loro attività silenziosa, trasformano il latte e ne determinano l’immortalità, sublimata in un pezzo di cacio. Quello che forse non sapete è che un grammo di terra contiene anche 10 milioni di questi microorganismi, divisi in centinaia di specie diverse. Ognuno di loro compie un lavoro indispensabile per ciascun tipo di formaggio: funziona cioè come catalizzatore di reazioni biochimiche che avvengono solo in un determinato luogo, con risultati tipici per ogni tipologia di cacio e irripetibili altrove.
Di conseguenza, anche per i formaggi vale la stessa regola del buon vino: il profilo organolettico di un buon formaggio artigianale esprime un certo terroir.
Giovannino Guareschi, scrittore, giornalista e caricaturista italiano (quello di Don Camillo e Peppone per intenderci) ce lo spiega in una visione onirica, avuta scrutando una forma di Parmigiano Reggiano Dop. E sì, è scientificamente dimostrato che alcuni formaggi provocano sogni intensi: «A fissare con una fortissima lente d’ingrandimento la grana del parmigiano, essa si rivela non soltanto come un’immutabile folla di granuli associati nell’essere formaggio, ma addirittura come un panorama. E’ una foto aerea dell’Emilia presa da un’altezza pari a quella del Padreterno».
Dato che non possiamo, per ora, visitare fisicamente i luoghi del formaggio e conoscere i segreti dei mastri casari, la nostra ricerca ci ha portato a Kaseina, un’associazione romana che si occupa di divulgare la cultura casearia, di fare emergere cioè i luoghi, i protagonisti e le storie racchiuse in un buon formaggio artigianale. Cacciatori di formaggi, insomma.
Ve li presento:
Come nasce l’idea e chi c’è dietro Kaseina?
“Dietro Kaseina c’è un’amicizia, quella tra Barbara Coppola e Claudio Loli, nata nel 2018 durante il corso per diventare assaggiatori di formaggi. L’idea di Kaseina nasce quando amici in comune ci chiesero di organizzare una degustazione nella loro bottega di Centocelle. La degustazione andò benissimo e così decidemmo di darci un nome. Perché Kaseina con la k? La caseina di tipo k è la principale proteina presente nel latte che ne permette la coagulazione, il passaggio fondamentale per la trasformazione del latte in formaggio, una vera e propria magia antica quanto antica è la storia dell’allevamento (7.000 a.C.)”.
Come si diventa cacciatori di formaggi artigianali?
“Per diventare cacciatore di formaggi ci vogliono passione e studio: è necessario l’amore, non solo per i formaggi, ma anche per la natura e per il mondo della pastorizia; devi essere dotato di una buona dose di curiosità, quella che ti spinge a viaggiare alla continua ricerca di numerose realtà casearie artigianali. E poi, se vuoi diventare assaggiatore e maestro assaggiatore, devi intraprendere il percorso di studi dell’Onaf (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi)”.
Si parla tanto di vignaioli ma non abbastanza di mastri casari. Cosa avete imparato su di loro durante i vostri viaggi alla ricerca della sacra fontina?
“Andare in giro per caseifici non vuol dire solo assaggiare formaggi, la differenza la fa chi questi formaggi li produce. Ogni volta che visitiamo qualche azienda, i casari ci spalancano le porte delle proprie case, con naturalezza e semplicità, senza fronzoli e salamelecchi. Dopo un primo scambio di battute ci si sente subito amici e ciò che proviamo è pura gioia. Scopriamo così che sono persone forti, le loro giornate sono molto dure, ma dietro la loro scorza granitica risiede una dolcezza disarmante e non potrebbe essere altrimenti considerato che il loro lavoro è la sintesi perfetta tra fatica e amore. Quando ci raccontano dei pascoli, della transumanza, delle razze che allevano, dei formaggi che producono e le tecniche che utilizzano, lo fanno con grande orgoglio. La loro è una vita autentica, in simbiosi con gli animali e con la natura e questa autenticità la ritroviamo negli odori, i sapori, gli aromi e il gusto dei loro prodotti. Casare e casari sono depositari di un patrimonio culturale inestimabile, che deve essere difeso e supportato ed è questo ciò che vogliamo far conoscere e valorizzare.
Ci teniamo a precisare che nel mondo del formaggio le donne sono da sempre una componente importante: abbiamo tante amiche che portano al pascolo, mungono e producono formaggio, così come racconta Anna Kauber nel suo film “In questo mondo”, documentario sulle donne pastore”.
Avete qualche iniziativa in serbo per dopo il 4 maggio? Progetti che vi piacerebbe realizzare?
“A marzo abbiamo lasciato in sospeso tanti appuntamenti che ci piacerebbe riprendere non appena sarà possibile: incontri di avvicinamento al formaggio, degustazioni guidate, aperitivi in cui il formaggio è abbinato a cocktail e visite guidate nei caseifici. Per il futuro abbiamo tante idee tra cui degustazioni accessibili a tutti: durante i nostri incontri giochiamo tanto con i sensi e sarebbe importante e interessante coinvolgere anche persone con disabilità sensoriali, in uno scambio reciproco di saperi e sensazioni. Ci piacerebbe anche convogliare tutto il materiale raccolto fin ora e che continueremo a reperire, foto, interviste, video, in una pubblicazione, in un documentario oppure in una mostra, che racconti il formaggio e i suoi protagonisti, il contesto geografico, le tradizioni e la cultura a esso legato. E poi abbiamo un progetto ambizioso: la creazione di un piccolo museo della cultura casearia del Lazio. Ma per realizzarlo abbiamo bisogno della collaborazione di altri partner… qualcuno vuole farsi avanti?”
Il matrimonio ta cacio e vino è qualcosa di eccezionale. Ce ne cosigliate una triade tra quelli che avete scoperto durante i vostri assaggi?
“L’abbinamento tra cacio e vino è sempre molto stimolante, perché dai più classici incontri ci si può spingere a soluzioni più ardite, ma rimanendo nell’ottica della territorialità consigliamo la mozzarella di bufala campana DOP di Barlotti, fresca e succosa, in abbinamento con un calice di Costa d’Amalfi bianco di Marisa Cuomo, dal sorso fresco e morbido; il caciocavallo stagionato di Agnone del caseificio Di Nucci, dall’importante complessità aromatica, si sposa perfettamente con un vino caldo dai tannini eleganti come il Sator di Cianfagna, una Tintilia in purezza, vitigno autoctono molisano; per finire il Maimone stagionato, pecorino sardo di Erkiles, realizzato con latte crudo e caglio vegetale, dolce e deciso allo stesso tempo, lo abbiniamo ad un Cannonau piacevolmente speziato e balsamico come il Tenores di Dettori“.
«Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo». Italo Calvino, Il museo dei formaggi (da Palomar).