Comitato ristoratori responsabili, “Chiudiamo i ristoranti per coronavirus ma serve cassa integrazione e stop a mutui”. Chiudere o non chiudere? E’ il dilemma che si stanno ponendo praticamente tutti i ristoranti d’Italia dopo il decreto che stabilisce il coprifuoco serale, dopo le 18, per i ristoranti e i bar di tutto il Paese. Un modo per provare a debellare il più in fretta possibile il coronavirus, ma anche una sofferenza economica enorme per i locali. Costretti a scegliere tra l’apertura solo a pranzo, la riconversione in take away e asporto e la chiusura totale, sia pure a tempo. Scelta quest’ultima che comincia a diventare sempre più consistente, anche perché la forte spinta del #tuttiacasa sta diventando un imperativo etico che rischia di mettere in cattiva luce chi comunque prova a tirare fuori la gente dalle case e spingerle nei ristoranti a pranzo. E così arriva questa lettera petizione di un gruppo molto nutrito (oltre cento) di ristoratori di Milano e di Pavia che dicono sì alla chiusura, ma chiedono, come è logico che sia se non si vuole fallire rapidamente, delle misure importanti da parte del governo, dallo stop di mutui e bollette alla cassa integrazione anche per le piccole aziende.
Ecco la lettera e i firmatari.
Egregi Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente della Regione Lombardia, Ministro della Salute e Sindaco della Città Metropolitana di Milano.
Redigiamo la presente per esprimere la nostra solidarietà come cittadini all’opera difficilissima di gestione dell’emergenza che state svolgendo. Come tutti siamo preoccupati, ma anche fiduciosi della forza che insieme come comunità possiamo avere se agiamo con coscienza e responsabilità.
Prendiamo atto delle disposizioni redatte nel DPCM emanato in data 8 Marzo 2020 dettato dall’evoluzione dell’epidemia COVID-19.
Ci rendiamo tutti conto della gravità della situazione e siamo pronti a fare i sacrifici necessari laddove siano dettati da logiche opportunità.
La decisione di consentire l’apertura dei bar e ristoranti come da ART.1 comma n) del suddetto decreto pone tuttavia delle grandi perplessità di cui vogliamo rendervi partecipi:
1) per la natura del servizio offerto da esercizi di somministrazione la richiesta di mantenere il metro di distanza interpersonale è praticamente impossibile da far rispettare. La promiscuità è ineliminabile tra personale di servizio e cliente e tra i clienti stessi anche nel caso si dispongano di tavoli delle misure adeguate;
2) lasciare i gestori delle attività come baluardo di prevenzione del contagio che impongono la suddetta distanza a rischio di sanzione è un provvedimento che facciamo fatica a condividere;
3) la maggior parte di questi esercizi opera nelle ore serali. Lasciare la possibilità di tenere aperto fino alle 18 crea una disparità significativa tra esercizi che lavorano durante il giorno e altri che lavorano prevalentemente la sera;
4) mantenere gli esercizi aperti e raccomandare alla popolazione di non muoversi da casa propria equivale a condannare tali esercizi al fallimento;
5) non si contempla la possibilità di poter effettuare il delivery anche oltre le ore 18, misura questa che potrebbe almeno mitigare l’effetto crisi per alcune tipologie di attività;
6) in sintesi, nel miglior scenario possibile, l’inevitabile crollo degli incassi porterebbe alla chiusura e al licenziamento di molti addetti.
Ci chiediamo pertanto se abbia senso chiudere tutto tranne i ristoranti e i bar. Se il fine ultimo è quello di evitare la socialità tout court, per quale motivo si vuole lasciare la possibilità di contatto e contagio in luoghi dove è intrinsecamente più difficile regolamentarla? Paradossalmente musei e cinema che devono rimanere chiusi hanno più possibilità di far rispettare le distanze regolamentando gli accessi.
Egregi Presidente del Consiglio e Presidente della Regione Lombardia, ci rendiamo conto della gravità della situazione e siamo pronti a conformarci alle direttive, ma siamo preoccupati come cittadini circa l’effettiva efficacia di misure prese a metà e come imprenditori della sopravvivenza delle nostre aziende.
Chiediamo di essere ascoltati quanto prima e di lavorare insieme per trovare una soluzione più intelligente possibile.
I punti che proponiamo vengano presi in considerazione con la massima urgenza sono:
1) opportunità di chiudere del tutto gli esercizi di somministrazione: meglio un periodo di contenimento più severo ma più limitato nel tempo;
2) istituzione di un fondo di emergenza per le imprese in difficoltà;
3) cassa integrazione in deroga per i prossimi tre mesi per i dipendenti del settore: solo così potremmo restare aperti senza agonizzare economicamente;
4) sospensione degli oneri tributari per i prossimi 3 mesi;
5) moratoria per credito bancario;
sospensione delle bollette.
La maggior parte di noi seguendo la propria coscienza ha già chiuso la propria attività. Ma temiamo che sia necessario farlo tutti.
Non affrontare questi nodi porterebbe a una situazione di completa incertezza e probabili effetti negativi anche sul contenimento del contagio e una quasi certa emorragia di imprese che o licenziano in massa o soccombono senza poter più contribuire.
Il mondo ci sta guardando.
Cogliamo l’occasione per dimostrare a tutti che sappiamo rispettare le regole ed essere responsabili per la comunità. Non vorremmo in un futuro essere additati come coloro che hanno sacrificato il bene pubblico per il proprio orticello.
Siamo a disposizione per un dialogo costruttivo e tempestivo.
Comitato Ristoratori Responsabili
Seguono molte firme di locali di Milano e di Pavia, tra i quali Peck, Trippa, Ratanà, Princi, Liberty, Rost, Pont de Ferr, Dabass, Taglio, Vinoir.