La carbonara al chilo, quella rosso Gordon-Boris e il duo Vissani-Rubio (Er Murena in punta di forcone)
Romani, magnate de meno!
Certo modo di intendere la cucina, a Roma, è ben rappresentato dalla sfida che un locale di Trastevere ha messo in piedi: ingozzarsi di un chilo di carbonara. Challenge a cazzo, tipo gara dei rutti, così, tanto per dimostrare un po’ di gastrovirilità. Chi vince non paga il conto (solo quello dell’epatologo). Ci sarà un motivo per cui a Milano non hanno inventato la gara di cotolette, a Genova di pesto, a Napoli di genovese? Non mi riferisco naturalmente a tutti i romani: ho anche un paio di amici romani, oltre a uno di colore, un interista e un israelita (disclaimer per chi è pronto all’hate speech contro gli odiatori della romanità) (il t9 diceva oliatori, va bene uguale). Come diceva il Fortis, o quasi, vi amo a voi romani, brutta razza di magnoni e di intriganti. Si scherza, dai, che i romani non sono così. E’ che a volte li dipingono così, a volte ci si dipingono da soli. E comunque basta con il binge eating, il cibo non è roba da ingollare, si abbia rispetto per quello che c’è nel piatto. Il cibo è un prodotto della fatica e della cultura, costa e va apprezzato per la qualità non per la quantità. Insomma, romani, magnate de meno! (Ok, ormai sono persona non grata, prendo la cittadinanza a Codogno).
Da Vissani e Rubio, fegato spappolato
Viene persino a noia di parlarne, di certi personaggi. Vissani è un po’ l’altra faccia della medaglia di Chef Rubio. Stessa volgarità d’animo e di parola, ma il primo dopo essersi agganciato al treno dalemiano se ne fotte allegramente della politica e macina soldi e misoginia, il secondo invece prima magna in tv con i Camionisti, poi sputa nel piatto di fagioli e si fa un giro sui social a insultare tutti, rivendicando purezza politica e amicizia eterna ai palestinesi. Risultato, fegato spappolato (il nostro). Cosa c’entri tutto questo con la cucina non si sa, ma gli chef contemporanei ormai sono mentori, numi, divinità, aruspici, nostri punti di riferimento di questa modernità stracciona e ignorante. Anche per questo leggere il libro di Tommaso Mellilli, “I Conti con l’oste”, andare alla scoperta di cuochi che sanno cucinare e hanno molto da dire, e di bello, è un sollievo, una pausa corroborante dal clangore della battaglia mediatica, un tuffo nella bellezza di chi ama, mangia e forse prega (ma quest’ultimo non è importante).
La carbonara di Ramsay e i camerieri della Brexit
Ci siamo divertiti con la carbonara di Gordon Ramsay, la nostra dose di indignazione settimanale è stata assunta, con soddisfazione del nostro ego (solo io so fare la carbonara perfetta) e dileggio della perfida Albione che rifiuta pure i nostri camerieri. L’inglese lo sappiamo a stento, quindi difficilmente saremo ben accetti nel regno di Boris Johnson, ma forse dovremmo provvedere a ritirare il patentino a tutti quelli che fingono di fare cucina italiana e non ci riescono (tra l’altro si capisce benissimo che il colore della carbonara di Gordon è un omaggio alla capigliatura di Boris).
Ok, sto facendo populismo d’accatto, lo so, è che provavo a vedere l’effetto che fa e se mi sentivo meglio. Niente, non funziona, ho sempre la tosse e tutti i sintomi che leggo in giro e continuo ad avere dubbi sulla consistenza del mio zabaione salato (figuriamoci di quello degli altri). E quindi chissà ne frega, ognuno cucini quel che vuole e come vuole, viva l’anarchia gastronomica (però, Gordon, quella zuppetta arancione non si può vedere, dai!).