Birra Malnatt Milano. “Ma mi”, scritta da Giorgio Strehler e cantata, fra gli altri, da Ornella Vanoni ed Enzo Jannacci, è una delle più famose canzoni della mala meneghine. Ballate degli anni Sessanta che raccontavano in musica la vita degli ultimi, tra le mura di un carcere, senza speranze di uscirne. Così è la storia del protagonista del brano, recluso a “San Vittur” con poche speranze di uscirne (perché “mi sont de quei che parlen no”, io sono uno che non parla) e membro di una banda di quattro amici, “quatter malnatt”, quattro malnati.
Malnatt, come nasce il progetto
Da qui nasce il nome di tre birre che sanno di riscatto. Le Malnatt sono infatti il prodotto di un programma di reinserimento nel mondo del lavoro di carcerati ed ex carcerati di San Vittore, Opera e Bollate. Il progetto è supportato dai direttori dei tre istituti penitenziari, dal Comune di Milano e dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Le birre agricole non filtrate, non pastorizzate e rifermentate nascono nell’azienda La Morosina, nel Parco del Ticino, già attiva nel mondo sociale e nel dare opportunità e ospitalità a migranti e richiedenti asilo.
Il luppolo coltivato nella cascina, insieme a tutte le altre materie prime, dà vita a tre le tipologie di birra. La San Vittore è una chiara non filtrata, in stile blond belgian ale, di facile beva. La Bollate è una weiss di frumento non filtrata dalla schiuma persistente e dal sapore mielato, fresco e fruttato. La Opera è una red ale non filtrata che profuma di sottobosco, gusto rotondo di caramello e liquirizia. Tre specialità che, dal 27 giugno, si possono trovare in diversi locali cittadini tra cui Frida Isola, Spirit de Milan, Rob de Matt, Magnolia, Trippa, Mom cafè (trovate l’elenco completo qui, l’invito è anche di suggerire il vostro locale preferito).
Così, da quest’estate, bere una birretta fresca (ma anche acquistare e indossare la t-shirt o usare i boccali brandizzati) avrà una valenza in più: quella di contribuire a generare risorse economiche per le carceri e dare una possibilità concreta di lavoro ad almeno 10 detenuti all’anno. Così che le tacche raffigurate nel logo diventino, da simbolo di reclusione, promessa di una nuova libertà. Prosit.
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