Orma Bruna Milano, la cucina marchigiana e abruzzese in zona Tortona

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Orma Bruna Milano. Narra la leggenda che la marchigiana del sud (come ama sottolineare) Olga Riccitelli, mangiando una pizza da Sorbillo in via Savona con un amico architetto, scoprisse – a due passi da lì – un locale vuoto che sarebbe stato perfetto per un ristorante. Narra sempre la leggenda che, da donna volitiva qual è, Riccitelli decidesse lì per lì di ristrutturare e aprire – insieme alla socia Rossana Cicchini – il ristorante Orma Bruna, inaugurato il 6 dicembre 2018 al 4 di via Montevideo. Una scommessa: quella di portare a Milano un ristorante di cucina regionale marchigiana e abruzzese mentre la città è tutto un fiorire di proposte fusion&fashion, bistrot gourmet e street food internazionale.
Qui, al contrario, la carta è strettamente legata alla terra di origine delle titolari, a partire dalle materie prime (alcuni prodotti sono proposti in vendita nella sezione “bottega”) e dei piatti elaborati dallo chef Achille Esposito che – come denuncia il nome – marchigiano non è ma si applica diligentemente al compito assegnato.

Per sentirsi immediatamente dalle parti del Piceno, basta un morso di olive all’ascolana classiche o tartufate (il tartufo del momento è il nero pregiato), con il ripieno di manzo, maiale, uova, parmigiano, noce moscata e scorza di limone. Quelle originali sono piccole, come sottolinea Riccitelli, snocciolate a mano ricavando la tipica spirale che poi si avvolge intorno alle polpettine e si racchiude in una crosta sottile e croccante: perfetto equilibrio di sapori tra panatura, polpa sapida e lievemente amarognola, carne gustosa. Fanno parte degli antipasti, un misto di fritti (10 euro) che comprende anche carciofo, zucchine e caciotta mista (pecora e mucca) abruzzese. Perché la cucina sconfina, come si diceva, anche nell’Abruzzo (per la precisione, del nord).

Ne sono un esempio le pallotte cacio e ova (9 euro) servite in versione “fighetta” milanese: invece che immerse nel sugo, adagiate su falde di peperone arrosto con una mostarda di pomodoro. Attenzione: una tira l’altra.

Semplici ma gustosi i carciofi alla romana con prosciutto di montagna (saporito senza risultare eccessivamente sapido): terzo antipasto che abbina due ottimi ingredienti in modo lineare e pulito (10 euro).

Quarto antipasto provato e quarta buona impressione per le animelle (14 euro) cotte in maniera impeccabile e servite su una crema di riso allo zafferano dell’Aquila, con erbette saltate.

Tra i primi (13-16 euro), arriva un omaggio dichiarato a Milano con il risotto giallo che utilizza nuovamente lo zafferano aquilano e si completa con bocconcini di agnello, a detta di qualche meneghino doc forse un filo passato di cottura, comunque apprezzato da chi scrive.

Non mancano classiche interpretazioni della cucina laziale che – in realtà – fa parte del patrimonio gastronomico centroitalico, come carbonara e amatriciana in cui il territorio torna comunque presente con il guanciale che proviene dall’azienda di famiglia Riccitelli, macellai da 7 generazioni.

La carne, dunque. Che non poteva essere che agnello. Le costolette (21 euro) sono cucinate a scottadito (forse fin troppo al sangue), accompagnate da cavolo viola e maionese all’aglio nero: il consiglio è di completarle al momento con una macinata di sale e pepe e un filo di olio da scegliere tra le bottiglie della casa, targate OlioMio: monocultivar di tenera ascolana e blend di leccino, carboncella e frantoio.

Il signature dish è l’uovo di montagna (16 euro), cotto a bassa temperatura, con pecorino abruzzese, briciole di taralli e una montagna di tartufo, ancora il nero pregiato di stagione.

Tra i dolci, non poteva mancare la crema fritta (6 euro), per tradizione servita solitamente anche nel fritto salato, qui accompagnata con un modaiolo sorbetto al gin tonic.

Eleganti (entrambi 7 euro) sia la millefoglie, con crema zafferano e vaniglia e polvere di lampone, che il semifreddo al pistacchio con pere all’anisetta, il liquore più rappresentativo della zona, presente a fine pasto in molte vesti diverse.

Una di queste è il caffè del marinaio (4 euro), aromatizzato con liquore all’anice e rum, servito in una cuccuma con tazzine di latta e un accompagnamento di cantucci.
Se poi si volesse un ammazzacaffè, tra tanti amari e liquori si possono scegliere anche l’anisetta Meletti o il più forte Varnelli.
Per chiudere il cerchio del territorio e scoprire com’è strano mangiare (e bere) regionale a Milano.

Orma Bruna, via Montevideo 4, tel. 389 6078866, Sito