Ilaria Bellotti: “Mio papà Stefano, un fantastico pirata: ora porto avanti il suo ultimo sogno, le Bolle ancestrali”.
Alla fiera di Fornovo, stava davanti a una foto gigante e bellissima di Stefano Bellotti, felice e scarmigliato, in posa con un forcone da contadino e da pirata, i capelli folli come lui, e lo sguardo sereno e fiero di chi ha sempre combattuto. Se n’è andato pochi giorni fa, Stefano, lasciando alla figlia Ilaria lo stesso sguardo fiero, velato dalla malinconia dell’assenza e da un dolore che è insieme smarrimento. Le ha lasciato un’azienda florida, Cascina degli Ulivi, ma troppo grande solo per una ragazza di 24 anni. Ma il bello del mondo del vino naturale è anche questa solidarietà che vedi negli occhi e nelle mani di gente che sgobba nei campi, nelle cantine, e che poi si ritrova fianco a fianco nelle fiere. Senza troppa retorica, perché naturalmente rivalità e odii ci sono anche qui, come ovunque, il mondo del vino ha preso per mano Ilaria e l’ha sostenuta. Ora tocca a lei e la grinta c’è tutta.
Ilaria, tuo padre se n’è andato all’improvviso, anche se era malato da tempo.
“Sì, aveva una malattia che lo aveva molto indebolito. Ma aveva combattuto e l’aveva sconfitta. Aveva vinto lui. E’ stato il cuore a non reggere”.
Com’è andata quella notte?
“La sera prima avevamo vendemmiato insieme il dolcetto. Era contentissimo. “Ilaria guarda che bella uva, quest’anno è bellissima”. Era felice di vivere. Ma la notte se n’è andato. I medici ci hanno detto che non era a causa della malattia, anche se l’aveva molto debilitato. Se n’è andato da pirata, come ha vissuto”.
Un lottatore.
“Sì, non si è mai fermato un giorno. Aveva una dignità incredibile, non si è mai lamentato. Io un giorno gli ho detto: “Papà, fermati, guarda che io sono figlia unica”. Ma lui mi ha detto: “Ilaria, se mi metto a letto, muoio domani”.
Quando è successo hai subito pensato di andare avanti?
“Lì per lì è stato un colpo tremendo. Ci siamo guardate, io e mia madre, e ci siamo dette: e ora cosa facciamo? Ma abbiamo pensato subito che non ci si poteva fermare, sarebbe assurdo non continuare il suo lavoro di 40 anni”.
Stefano ha fatto 40 vendemmie?
“Questa era la quarantaduesima. Ha iniziato a fare il contadino a 17 ani. Dal 1984 è passato alla biodinamica”.
E tu? Hai sempre voluto lavorare in azienda?
“Sì. Quando mi volevo iscrivere all’università, volevo fare geologia o agraria. Ma mio papà mi ha detto: non ti serve a niente, è tutta roba convenzionale. Fai qualcosa che ti piace e poi vedi. Così mi sono iscritta a Lettere a Verona. Mi mancano tre esami, mi sono fermata per aiutare in azienda”.
Ora tocca a te, in azienda.
“A noi. Siamo un gruppo giovane, forte, resistiamo. Lui sognava una comunità. E l’aveva creato. Vivevamo tutti insieme, mangiavamo insieme, lavoravamo insieme. Da quando non c’è più, molti sono andati via. Ma siamo rimasti in una decina. Mia madre ha ripreso in mano l’agriturismo, c’è la ragazza che è qui da 17 anni che fa il pane, la cantiniera. Abbiamo 23 ettari di vigna, 15 di seminativo, facciamo vino, pane, marmellate, abbiamo le camere”.
I produttori come hanno reagito?
“L’associazione Renaissance, di cui mio padre era presidente, ci ha dato subito una mano. I produttori sono venuti subito a vedere se avevamo bisogno. Hanno fatto anche centinaia di chilometri, è stato molto commovente. Ci sono persone che mi hanno scritto che non sarebbero vive e non farebbero quello che fanno, se non avessero conosciuto mio padre”.
La sfida comincia ora.
“E’ una lotta, tutti i giorni. Da un lato sono fortunata, perché mio padre ha lavorato tanto e mi ha lasciato un’azienda sana. Quando ha cominciato gli davano del pazzo, del visionario. Ma ha lottato con le unghie. Lui era un contadino. Non parlava mai di vino, ma di agricoltura”.
Ora arriveranno le sue Bolle.
“Sì era il suo nuovo progetto, a cui teneva tanto: Bellotti Bolle, un vino ancestrale, con il mosto di moscato, rifermentato in bottiglia. Sarà pronto l’anno prossimo. Duemila bottiglie, un esperimento. Già ora è un buon mosto: è stato il suo ultimo suo sogno”.