
Brunetta e la Doc Roma. Forza Italia non va proprio a gonfie vele, i vitalizi li hanno tagliati già da un po’, la politica non dà più grandi soddisfazioni e allora perché non gettarsi in qualche nuova passione? Deve aver pensato questo Renato Brunetta, deputato berlusconiano, economista, grande cuoco e da poco anche produttore del Mater Divini Amoris, ovvero il suo vino (anche se in etichetta c’è il nome “Capizucchi“). Al Vinitaly c’era e ha raccontato il perché di questa nuova vita al Corriere della Sera: “Mi sono indebitato fino ai capelli. Un atto di incoscienza, ma sono felice”.
Nel vino ci si è buttato con tutta la passione di cui è capace Brunetta, che è uomo poliedrico: collerico e talvolta insopportabile, autore di sfuriate e litigi furibondi, ma anche sorprendentemente sensibile e con grandi passioni, come la cucina. In Transatlantico, tra una dichiarazione sul decreto “dignità” e una sul ministro Tria, Brunetta compulsa il cellulare e si cruccia. Perché “felice” è felice, ma anche preoccupato: “Non ci dormo la notte: passo dalle 6 mila bottiglie prodotte quest’anno alle oltre 100 mila bottiglie del prossimo anno. E se non le vendo?”. Per ora il suo vino ce l’ha Bernabei e un pugno di locali, in futuro chissà.
Brunetta ha chiamato così il suo vino, perché il terreno è dalle parti del Santuario del Divino Amore. E ha subito aderito alla controversa “Doc Roma”, nata nel 2011. Pochi giorni fa è stata ufficializzata la nascita del consorzio della Doc Roma. E tra i dieci consiglieri che fanno parte del Cda, prima riunione il 27 giugno scorso, c’è anche lui (il presidente è invece Tullio Galassini). Del consorzio fanno parte in 24, tra produttori e imbottigliatori. Nessun grande nome.
Il disciplinare prevede che per il rosso si debba usare non meno del 50 per cento di Montepulciano, non meno del 35 per cento di uno o più di questi vitigni Cesanese comune, Cesanese di Affile, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Sirah e altri della regione Lazio per non più del 15. Il Roma doc bianco deve essere fatto con almeno l’85 per cento di Bellone o Malvasia Puntinata.
In sette anni, come racconta il presidente, la produzione è decuplicata. Ma le vendite sono all’80 per cento all’estero, grazie all’appeal del nome “Roma”. Nella Capitale e in Lazio, per ora, non è esattamente il vino più richiesto e più apprezzato. Tantomeno la nuova Romanella, rivista e corretta. Ma diamo tempo al tempo.