Cercansi camerieri per ristoranti, il docente Camelio: “Cari chef e ristoratori, la crisi è anche colpa vostra”

Cercansi camerieri per ristoranti: il boom del food e la crisi del personale. La crisi è drammatica. Basta guardare gli annunci di ristoratori: sono finiti i camerieri e anche il personale di cucina. A Roma, ma in generale in tutto il Paese. Maltrattati, sfruttati, malpagati, da un lato. Svogliati, incostanti, presuntuosi, dall’altro. Per capirci qualcosa, abbiamo chiesto lumi a Enrico Camelio, docente all’Alberghiero di Roma e consulente di molti ristoranti e del Soho House and Co. Uno che se ne intende (si definisce “l’Antonio Conte delle sale“) e che, virtù rara in questo mondo, non usa mezzi termini e ipocrisie, come si è visto sul suo profilo Facebook, dove pochi giorni fa ha scatenato la polemica. 

Camelio, è incredibile: siamo il Paese del cibo e dei ristoranti, ma mancano camerieri e cuochi. 
“E’ vero, ma non è un caso. Succede da 3 o 4 anni. Il problema prima era soprattutto per la sala, ma ora riguarda anche la cucina. A Roma, ma anche altrove: basta guardare a quello che succede nella Riviera romagnola”.
Colpa di chi?
“La principale è di chi non li paga o li paga pochissimo. Quando ho cominciato io, da Ezio alle Scalette, guadagnavo fino a 4 milioni di lire”.
E ora?
“Adesso capace che lavori 14 ore fino all’una e mezza di notte e porti a casa 1000, 1100 euro”.
Eppure il food è un settore che non conosce crisi.
“Perché alcuni grandi chef, stellati e non, hanno fatto i furbi per una vita. Hanno sfruttato questi ragazzi, contando sul turnover e attirandoli con il nome. Io mi sono confrontato spesso in passato con chef come Colonna, Romito, Di Giacinto, Fusco, Riccioli, con i quali sono in ottimi rapporti. Io dicevo sempre: guardate che prima o poi finisce. Dieci anni fa mi davano del rompiscatole, del sindacalista. E ora?”.
Ora è finita. Tutti cercano disperatamente.
“Ma non ci credono davvero. Per loro conta il piatto di porcellana. L’impiattamento del cibo, i colori degli accostamenti. Tutto, ma non l’accoglienza e il servizio”.
Eppure è quella che conta di più.
“In un ristorante la sala conta al 60 per cento, la cucina al 40. Se mangi così e così ma sei accolto con un enorme sorriso, esci e ci ritorni. Se è il contrario, hai mangiato benissimo ma il servizio è scortese, non ci ritorni di sicuro”.
Anche i ragazzi non sembrano granché predisposti.
“Questo è sicuro. Molti sono pigri. E’ la generazione Iphone, che vuole stare sempre al cellulare, uscire, fare altro. Non c’è più spirito di sacrificio”.
C’è da dire che chi fa il cameriere non gode di un grande status sociale.
“Eh, viene considerato un lavoro da sfigati, da servi”.
I cuochi sono diventati chef e tutti sognano Masterchef. I camerieri son rimasti camerieri. 
“Conosco molti che hanno fatto questo lavoro per una vita, si sono arricchiti, hanno una seconda casa a Fregene e sono rispettati. Forse è ora di cambiargli nome. E soprattutto di ridare dignità a questo lavoro”.
Servirebbe un MasterCameriere. Ma torniamo al punto: ci sono un sacco di scuole alberghiere e mancano camerieri. Non è un paradosso?
“Sì. Noi abbiamo in Italia 150 scuole alberghiere, a Roma e provincia ce ne sono 14. Solo la mia sede, a Capannelle, ha tre succursali, con 1500 alunni. A Roma sforniamo 10000 mila alunni all’anno”.
E dove sono?
“Già, me lo chiedo pure io. E’ che c’è grande dispersione. Negli alberghieri, nei primi due anni si fanno 
4 ore di sala, 4 di ricevimento e 4 di cucina. Al terzo si sceglie la specializzazione: il 70 per cento sceglie la cucina, il 20 la sala, il 10 il ricevimento”.
Tutto bene con le scuole alberghiere?
“No. Tanti docenti non sono preparati a dovere, alcuni insegnano a 20 anni, con il diploma. Prima si facevano 18 ore a settimana, ora si sono ridotte di molto”.
E gli stage?
“S
e vai a fare stage nei Paesi scandinavi, lavorano seriamente cinque o sei mesi e imparano tutto. Qui tagliano patate e puliscono per terra. Così passa la voglia”.
Molti camerieri ormai sono stranieri. 
“Finirà così. Siamo presuntuosi e vogliamo solo italiani. Ma andate in Albania: sono bravissimi, sanno l’inglese e hanno voglia di fare. E poi c’è il processo inverso”.
Cioè?
“Gli italiani, i pochi che ci sono, se ne vanno. Ora lavoro con Soho House and Co, che ha alberghi in tutto il mondo. Io con loro mi comporto come Antonio Conte, li presso. Noi formiamo i ragazzi, facciamo studiare l’inglese, il bar, i vini, diamo benefit importanti e un contratto. Ovvio che sono entusiasti e se ne vanno dall’Italia”.
Puntarella Rossa ha creato una sezione per gli annunci. E’ la strada giusta per fare incontrare chi cerca e chi offre?
“Sì, i siti come questo sono molto utili. Ne segnalo altri due: job in tourism e jobvalet”.
Per chiudere, un messaggio agli chef?
“Smettete di abusare dei camerieri, ma usateli per coinvolgerli. E smettete di usare solo il vostro nome. Che poi diciamolo: sono pochi quelli come Heinz Beck, che in cucina ci stanno davvero. Ma io direi questo: chiediamoci tutti, me compreso, dove abbiamo sbagliato e troviamo soluzioni senza usare dell’inutile saccenza”