
Bressan, il razzismo e il Gambero Rosso. Da qualche tempo, entrando in enoteca, ero colto da scrupoli etici. Non roba vegana, tipo ci sarà l’albumina o la lisozima da uovo? No, si trattava più di un malessere, come quando hai maltrattato una persona, che se lo meritava, ma hai pensato che avevi esagerato e che comunque era arrivato il momento di perdonarlo. Nello specifico, mi capitava guardando i vini di Fulvio Bressan.
Qualcuno lo ricorderà. Puntarella Rossa ne aveva parlato a lungo, raccontando delle sue orrende frasi razziste nei confronti dell’allora ministro Kyenge. Il produttore friuliano si era lasciato andare su Facebook a dichiarazioni decisamente schifose, definendo il ministro una “sporca scimmia nera“, per poi aggiungere “negra mantenuta di merda“. A parte il deficit di padronanza linguistica, Bressan evidenziava un gigantesco deficit di civiltà, tipo buco nero dell’intelligenza.
Ecco, tutti noi conosciamo bene il conflitto che si crea sempre tra arte, e il vino fatto bene è arte, come la letteratura e il teatro, e vita. Quante volte è accaduto di conoscere l’autore di un romanzo amato o un cantante o un artista e dire: madonna, che tristezza, che uomo orrendo. Inutile rivangare la questione Céline, l’antisemita autore di capolavori della letteratura. Leggerlo o non leggerlo? Ecco, noi siamo per leggerlo. Perché i suoi romanzi restano capolavori, anche se prodotti da una mente che poi si è rivelata permeabile al razzismo, alla stupidità e peggio.
Però. C’è un grande però. Ed è che a leggere le opinioni politiche di Céline un po’ ti passa la voglia. E’ legittimo, normale e comprensibile. Non vuol dire che sia giusto (Morte a credito e Viaggio al termine della notte restano capolavori). Ma è così. E dunque, pensavo, entrando in enoteca, che colpa ha il vino di Bressan se è prodotto da uno che scrive o pensa “Vendola frocio” o “Boldrini puttana“? Non è che io bevendolo aderisco alla sua ideologia malata. Piantala di fare il moralista da quattro soldi e beviti sti vini.
Poi ho letto il Gambero Rosso. L’interessante intervista che, a tre anni da quei giorni, rievoca quel che accadde. Bressan appare sicuro di sé, sprezzante e infastidito dal clamore. Spiega Bressan che da allora non è cambiato “nulla”. Anzi: “Ci siamo ripuliti da quelle persone che forse erano fuori luogo accostate a quello che produco”. Ci siamo ripuliti? E questa pulizia etnica di chi sarebbe?
Sul fatto che alcune guide lo abbiano escluso dalle recensioni, Bressan dice così: “Ho avuto la triste conferma della mediocrità italica“. Segue un vaniloquio con accostamento tra il suo caso e chi sofistica vino. Bressan, con “fierezza italica”, come la chiamerebbe lui, non auspica una riconciliazione. Infine, dopo la citazione delle parole dell’attore Giuseppe Battiston (pronunciate tra l’altre proprio in un’intervista a Puntarella Rossa), Bressan produce una dichiarazione che dovrebbe essere il mea culpa: “Io non ho mai valutato una persona dal colore della sua pelle… probabilmente sono razzista verso i cretini, i buonisti e coloro che sfruttano le persone per la loro etnia o provenienza. Gli stupidi sono equamente divisi tra i bianchi, così come tra i neri”. Più che un mea culpa, è l’ennesmo vaffanculo.
Ecco, caro Bressan, mi son caduti gli scrupoli (e anche un po’ il resto). Continuerò a non bere i suoi vini. Perché lei continua a dire cose sgradevoli e fa passare la voglia di bere il suo vino. Come diceva il buon Battiston, “il razzismo è obsoleto, mi annoia, sa di tappo, di feccia, il razzismo, di vino cattivo. E’ un’ubriacatura triste”.
E io voglio ubriacarmi, ma essere felice, allegro, bello, vitale, solidale, sorridente, aperto al mondo e alla vita.