Chianti, storia di un vino che si è venduto al mercato Chianti e Chianti Classico hanno da sempre rappresentato la tradizione del vino italiano in Toscana. Uno dei primi inventori delle attuali Denominazioni d’Origine fu Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, che nel 1716 delineò quattro zone vitivinicole nei dintorni di Firenze: Pomino, Chianti, Carmignano e Valdarno di Sopra. In seguito le zone sono aumentate. Qui il Sangiovese ha sempre fatto da padrone: parliamo di un vitigno complesso, aspro e forte, che sa invecchiare e vivere a lungo e, proprio come la Toscana, è ricco di arte e poesia. E’ dunque un vitigno di cui prendersi cura, mentre invece hanno deciso di provare a rendere il Chianti un vino internazionale.
Per quanto riguarda il Chianti, vi troviamo due DOCG: Chianti e Chianti Classico, con molte sottozone. Gli articoli 1 e 2 dei disciplinari di Chianti e Chianti Classico prevedono il Sangiovese per almeno il 70% nel Chianti e per l’80% per il Chianti Classico. Il restante 30 o 20% può essere rappresentato dai vitigni a bacca rossa idonei in Toscana e per una percentuale massima del 20% sono stati autorizzati anche altri vitigni a bacca rossa, tra cui quelli “internazionali”, come il Cabernet Sauvignon e il Merlot. In reazione a questi cambiamenti, alcuni produttori hanno deciso di abbandonare la denominazione per proseguire come semplici IGT.
Ma qual è dunque l’identità del Chianti? Quando ha iniziato a perdere la sua strada? Alcuni produttori hanno sempre utilizzato il Sangiovese in purezza, altri utilizzavano anche le uve del territorio per alleggerire un po’ l’asprezza del vitigno. Il vento ha cominciato a soffiare in direzione dei vitigni internazionali, forse semplicemente perché andavano di moda. Si è cominciato a preferire il Merlot ai vitigni autoctoni; forse un po’ si rischiava, si provava a fare qualcosa di nuovo e sperimentale, magari l’intento era buono, dato che l’Italia era in un periodo di stallo, ma questa prova sembra non essere andata a buon fine: i prezzi sono calati, il Chianti ha perso valore e la fiducia dei consumatori. Si è omologato, ha lasciato svanire la peculiarità dei suoi vitigni per aprirsi all’estero, non capendo che l’estero apprezza proprio ciò che abbiamo abbandonato.
Bisognerebbe tornare alle radici, tornare a ciò che ci ha sempre differenziato dal resto degli altri Paesi: chi vuole un Chianti vuole l’unicità della terra toscana e del suo Sangiovese, la tradizione italiana e le sue aspre colline. Seguiamo la via della tradizione, ridiamo dignità ai vitigni autoctoni.
Oggi, riuscire a bere un Chianti tradizionale è difficile, ma in quei pochi casi ci si innamora davvero. Uno di questi casi è il Montebetti di Podere Gualandi, un Chianti Colli Fiorentini.
Guido Gualandi è un archeologo e pittore innamorato della Toscana, che si è adoperato molto nella riscoperta delle tradizioni della sua terra. E’ uno di quelli davvero interessati a produrre qualcosa di tipico, naturale e poetico, in una terra che ha preferito il basso commercio, abbandonando gli alti standard di identità che la contraddistinguevano. Gualandi ci spiega: “Credo che si debba fare una scelta tra commercio e qualità: un’area estesa con grandi quantità di uve raramente porta un prodotto di qualità. Se si vuole qualità, bisogna puntare sulla qualità. Se si punta ad abbassare i prezzi per seguire il mercato, la bassa qualità è la conseguenza. Non sono molto fiducioso del fatto che il Chianti possa riuscire a riprendersi da questa svalutazione, ma credo che il minimo sia proprio quello di tornare a puntare alla qualità. Farebbe tornare la credibilità nel Chianti, ormai considerato un prodotto di fascia bassa”.