Voy a Roma. Siamo a Ponte Milvio, cara e vecchia conoscenza per i più giovani e modaioli frequentatori della Roma Nord dei locali. Mentre avvistiamo pericolose frotte di ex pariolini in controcorrente addentrarsi nell’oscuro Mandrione (vedi Cohouse Pigneto), nel nostro immaginario collettivo la romabbene che conta è sempre qua, tra villa Brasini e corso Francia, dove per fortuna non è tutto appannaggio del crop top o del tacco a stiletto. Il Voy, ad esempio, sulla piazza da qualche anno e conosciuto dai più per la formula del brunch domenicale, ha da tempo cambiato vesti. O meglio, rinnovato la gestione. E da circa un anno si presenta più bello, più sofisticato, ma, soprattutto, più consapevole. Un menu ricercato, un cocktail bar di livello, il Little Jumbo, bretelle e panama per un’accoglienza calorosa e multietnica. I suoi 130 coperti sono sotto il controllo di un poco più che trentenne cuoco campano, Raffaele Crispino, mentre il bar è supervisionato dalla giovanissima Cristina Folgore. Nemmeno a dirlo, l’anima del nuovo Voy è altrettanto giovane. I soci sono sei, tutti tra i 24 e i 31 anni. Qui vi raccontiamo il nuovo che avanza.
Sono pieni di energia, ma soprattutto sono sempre presenti (tra l’altro il ristorante è aperto ogni giorno). Per giunta sono quasi tutti cugini, rispettivamente la famiglia Martella, con Riccardo, Valerio, Matteo e Giovanni, e la famiglia Plez, con Niccolò e l’unica quota rosa Carlotta. Questo junior team ha portato una ventata di freschezza alla stanca gestione del Voy. Un locale dalla posizione strategica che vuole tornare alle glorie della sua apertura. I ragazzi hanno scelto di puntare sulla sinergia tra bar e cucina. Il menu mediterraneo, ma ricercato e uno spazio interamente dedicato ai cocktail, il Little Jumbo. E una formula a buffet per il pranzo.
Arriviamo al dunque. Cosa è cambiato al Voy? “Tranne il nome, tutto – scherza Valerio – siamo subentrati alla vecchia gestione in sordina circa un anno fa e abbiamo lentamente trasformato il locale per renderlo sì di tendenza, ma mantenendo l’attenzione sulla qualità. Abbiamo rinnovato la cucina e creato ex novo un angolo bar dedicato alla miscelazione. Il concept alla base di questo rinnovamento è la creazione di una continuità tra bar e cucina che svetta nella realizzazione di una cena in abbinamento ai cocktail preparati dai nostri barman”. Obiettivo ambizioso in quello che tradizionalmente è considerato il Paese del vino, e dove, al massimo, si fa largo la birra artigianale.
E’ vero, non siamo a New York e nemmeno a Londra, ma i gusti degli italiani vanno evolvendosi e la curiosità nell’assaggiare-provare-sperimentare-osare (per poi spesso, inesorabilmente, anche giudicare) va aumentando esponenzialmente. Ma ora una serie di domande affolla la mia testa. Il tasso alcolico più elevato, gli sciroppi zuccherini, gli abbinamenti. Ho bisogno di qualche delucidazione in più. Arriva prontamente Cristina Folgore, già allieva di Matteo Zed ai tempi di Settembrini, head bartender del Little Jumbo, a interfacciarsi con le mie pedanterie. Cosa ti dà in più un cocktail rispetto ad un bicchiere di vino a tavola? “Chiedimi il contrario: cosa ti dà un bicchiere di vino in più? Secondo me è tutta una questione mentale, un retaggio culturale. Non dico sia sbagliato, ma diamoci la possibilità di sperimentare altro”. Occhi svegli e risposta pronta, questa biondina ventiquattrenne ne sa e non molla. Nemmeno quando accenno alla gradazione o alla varietà di distillati. “E’ falso dire che se inizio con il gin devo continuare con il gin – continua Cristina – Certo che posso cambiare distillato. L’importante è non abbassare la gradazione alcolica”. Dalla più bassa alla più alta. Elementare, Watson. Traduzione: non iniziate con un Negroni.
Veniamo all’annosa questione degli accostamenti cibo-cocktail. Cristina puntualizza: “Meglio partire dal piatto e poi abbinare il drink. Ognuno viene, infatti, calibrato sulla base degli ingredienti. Come regola generale direi che si procede per associazione o per contrasto. Per il primo caso, poniamo di aver ordinato un fritto; ecco lì abbinerei un Tom Collins aromatizzato con sedano, che pulisce il palato. Nel secondo mettiamo un salmone delicato; sarebbe perfetto un cocktail a base di bourbon, scotch o mezcal”. Altri esempi azzeccati: formaggi erborinati con cocktail a base rum. Per una tagliata di manzo uno champagne cocktail e per la carne più delicata un drink al bourbon. Il tortino al cioccolato invece con rum, cognac o St Germain. Evitate cocktail zuccherini prima del pasto che appesantiscono anziché preparare lo stomaco (quindi niente mojito e capiroska). La filosofia di miscelazione di Cristina è sobria ed essenziale: un drink elaborato con una tecnica semplice. Oppure un drink semplice con una tecnica elaborata. Ingredienti ricercati uno o due al massimo e cura nella presentazione. Un giochino da ragazzi, no?
Pronti a scoprire la cucina. Presentiamo un altro giovane. Trentunenne casertano, Raffaele Crispino, cuoco innamorato della sua terra, dalla mozzarella di bufala al pomodoro. E grande conoscitore del pesce. Raffaele punta tutto sulla semplicità nell’esaltazione degli aromi e sulla scelta della materia prima, con un occhio all’innovazione e alla ricerca di nuovi gusti. Due mantra della sua cucina: “Le consistenze: bilancio sempre l’elemento croccante con quello morbido. E l’acidità, che deve contrastare ed equilibrare senza rendere la pietanza né troppo dolce né amara”. Il menu è stagionale e cambia ogni tre mesi.
La sinergia bar-cucina non sarebbe possibile senza la collaborazione della sala.
Impeccabili e sorridenti nelle loro simpatiche uniformi, con camicia bianca istituzionale, alleggerita dalle bretelle e dai panama esotici.
Voy, via Flaminia Vecchia 496/c, Roma. Tel 06/33222179. Pagina facebook e Sito