Eataly Repubblica, sono andato nel nuovo "fregno" di Farinetti (e ne sono uscito subito)

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A noi di Eataly piacciono i dubbi, dice uno degli onnipresenti cartelli piazzati all’ingresso della nuova sede, proprio sotto la frase di Flaiano tanto amata da Oscar Farinetti: “Ogni mattina a Roma s’alza un fregno”. Ecco, anche noi piacciono i dubbi. E quello di oggi è il seguente: non sarà che questo nuovo fregno di Oscar è una mezza sòla? No, così, è un dubbio. Perché per giorni ci siamo alzati pensando che, almeno a noi che abitiamo in zona, Eataly ci avrebbe un po’ rivoluzionato la vita (almeno quella commerciale). E invece le nostre speranze di ingenui consumatori, entusiasti del verbo farinettiano e della fave di cacao della Guinea (si fa per dire, leggi qui), si sono infrante davanti a un supermercatino che, diciamoci la verità, è di gran lunga inferiore rispetto al nostro caro (caro), vecchio Elite di via Cavour. 

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Prima di entrare, decidiamo di acquistare il giornale preferito del nostro, Repubblica, all’edicola di via Nazionale. Due passi sotto la galleria e ci imbattiamo in qualcuno che Eataly di sicuro non sa cos’è e neanche le fave di cacao: scene tristi in diretta dalla Grande Bellezza.

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Ed eccoci sotto i portici che ospitarono il detestato Mc Donald’s, poi riabilitato dai fasti dell’Expo. Eataly ha pensato di piazzare un po’ di tavolini, meno pomposi di quelli del vicino Boscolo hotel. Ottimo, ci sediamo. Neanche il tempo di guardare il menu, ben rilegato, che schizziamo dalla sedia: caffè espresso 2,50; cappuccino 3,50. Va bene, lasciamo perdere e ci prepariamo all’esplorazione. 

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Dentro, per fortuna, troviamo un altro bar che provvede al nostro bisogno di caffeina e grassi non idrogenati. I prezzi qui sono più umani: cappuccino 1,50 e cornetto pure. Certo, bisogna accomodarsi negli sgabelloni, vista muro, ma il portafoglio ringrazia. A questo punto, muniti del cestone plasticato, ci muoviamo speranzosi. Nell’atrio, qualche pacco di biscotti, sale rosa dell’Himalaia, aceto di miele e lamponi, olio extravergine monocultivar. Le solite bottiglie di “vino libero“. La solita birra di Teo Musso. Avanziamo. Oltre il bar, si intravede qualcosa. Sotto un soffitto decisamente basso, qualche tavolino per lo spazio salumi. A destra, un triste banco frigo, con latte, un paio di formaggi, il culatello di zibello. E poi?

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Proviamo a scendere, ma vediamo scope e cartelli: “Stiamo lavorando per noi”. “Non c’è niente sotto”, ci spiega una commessa. Proviamo a salire. “E’ chiuso sopra”. Ah, perché ci sono lavori in corso? “No, perché apre a mezzogiorno. Ci sono solo i ristorantini sopra”. Come, solo i ristorantini? E la frutta? La verdura? La rosticceria? Quelle distese di bendidio che popolano gli spazi di Eataly Ostiense? “Ah no, qui non c’è niente. Solo quello che vede qui e i ristorantini”. 

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Apriamo Repubblica ed ecco l’ultima pubblicità di Eataly, raffinatissima.

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Mestizia. Malumore. Raccattiamo un pacco di anelllini riso e cioccolato (4,5 euro), un latte parzialmente scremato (0,90) e un pacco di pasta di Gragnano Afeltra (2,90) e ci avviamo all’uscita (cioè, ci siamo già, bastano otto passi). Tempo di perlustrazione, otto minuti. Spesa, 8,30, più 3 di colazione. Delusione, da 1 a 10, 9. Inforco lo scooter e si va da Elite a comprarci il pecorino buono. 

In attesa di provare i ristorantini dei due piani superiori. Che però si annunciano già minacciosi, con i piatti  “gift“, temibile acronimo che sta per gradualità, individualità, flessibilità e tono, ovvero portate elaborate secondo un regime normocalorico. Aiuto.