Marco Carpineti è una delle aziende di vino biologico più interessanti del Lazio. Anche per questo, Puntarella Rossa ha deciso di organizzare una visita guidata ai vigneti e all'azienda di Cori, in provincia di Latina. Scoprendo una realtà in evoluzione, grazie alla spinta del giovane Paolo, figlio di Marco, che dà una spinta innovativa, senza dimenticare la tradizione. E il prossimo passo di Carpineti è la completa trasformazione dei 63 ettari della proprietà in agricoltura biodinamica, l'uso di lieviti indigeni e un minor abuso delle barrique, che saranno probabilmente affiancati da anfore. Ecco il nostro reportage dall'azienda di Cori.
Le terre e l'azienda esistono da molte generazioni, ma è Marco Carpineti, nel 1986, a farne un'azienda vera.
Si coltivano vitigni a bacca bianca, tipici del territorio: il Bellone, l'Arciprete Bianco e due varietà di uva Greco, dette in loco Moro e Giallo, quasi scomparse nel territorio.
Quelli a bacca rossa sono il Nero buono di Cori, il Montepulciano e il Cesanese.
I vigneti hanno un'esposizione a sud sud-ovest e si trovano in località Capolemole, Pezze di Ninfa e Valli San Pietro.
Paolo racconta le difficoltà e le gioie di un'azienda che esporta solo il 15-20 per cento all'estero e che dopo quattro mesi ha già esaurito la vendita delle bottiglie.
L'azienda è certificata biologica dal 1994. Il prossimo obiettivo è trasformare tutto in biodinamico. Usando anche il famigerato Preparato 500, o cornoletame, ovvero corna di vacca riempite di letame, "dinamizzate" con acqua e seppellite per l'inverno. C'è chi obietta sull'approccio un po' stregonesco e un cialtrone di Rudolf Steiner, inventore della biodinamica e dell'antroposofia. Paolo è d'accordo ma fino a un certo punto: "Al netto di certe esagerazioni, è vero che dopo i trattamenti di cornoletame, i terreni sono di una vitalità incredibile". Proprio qui vicino, a Valmontone, c'è uno dei maggiori produttori di cornoletame, Carlo Noro, definito, ahilui, il "Siddharta dei nostri giorni".
Da un paio d'anni in azienda sono arrivati i cavalli. Marco e Paolo sono andati nella regione della Champagne per studiarne l'utilizzo migliore. I vantaggi sono molti: si risparmia l'uso del trattore, che oltre a inquinare con olio e benzina, compatta al suo passaggio il suo terreno, rendendolo poco permeabile. I cavalli, poi possono passare più agevolmente tra i filari, che possono essere disposti a una distanza più ravvicinata.
Ed eccoci in cantina, dove Paolo ci racconta come viene fatto il vino e l'affinamento nelle enormi botti d'acciaio. Davanti alle barrique, le piccole botti di rovere francese, Paolo ci racconta che in passato se n'è fatto abuso, perché era diventato di moda. Ma a poco a poco si useranno di meno, soprattutto quelle di primo passaggio (che ospitano per la prima volta il vino e quindi sono più "invasive") e si proverà a usare, tra l'altro, le anfore.
Dopo la visita nelle vigne e in cantina, eccoci nel casale, dove assaggiamo i vini di Carpineti.
Capolemole, ovviamente, che ha un ottimo rapporto di qualità e prezzo. Ma anche un ottimo Apolide, il Nero buono chiamato così come forma di protesta per le leggi che impedivano l'uso della denominazione Nero buono di Cori.
Tra un vino e l'altro, viene servito in tavola l'ottimo cibo di Campana, che oltre a essere un ristorante di Pontinia, lavora anche come catering. Qui, una buona pasta e fagioli con la pasta fritta.
Ed eccoci al brindisi finale. Non un brindisi qualunque, perché Paolo estrae una bottiglia di Kius, il brut della casa che cresce di anno in anno.
E' una bottiglia della nuova produzione, che viene sboccata di fronte a noi. L'operazione di degorgement fa saltar via feccia e residui. Ed ecco un pas dosé, che senza l'aggiunta di liqueur d'expedition (il vino non è stato ancora rabboccato con la liqueur contenente lo zucchero), risulta secco, vivace e dotato di gran personalità.
Paolo Carpineti e la nostra sommelier Livia Belardelli discutono e valutano la sboccatura.