Waraku a Roma, un angolo di Giappone a Prenestino. Giappone in tavola fa rima con sushi? Non sempre (certo, se non riuscite a farne a meno qui trovate la nostra classifica dei 10 migliori sushi di Roma). A tutti gli altri invece consigliamo di prendere armi e bagagli e di fare una capatina in un angolo ancora sconsacrato in bilico tra Pigneto e Centocelle.
L'angolo è quello di via Albimonte 12, il nome sul campanello, Waraku. Attenzione però: non cercate un locale, un ristorante e nemmeno un bistrot, non lo trovereste mai. Come nella migliore tradizione questo posto non nasce con la vocazione del cibo. E' capitato anche a noi una sera di marzo: “Avranno azzeccato il civico?” mi chiedo superando, in cerca di un parcheggio, le mie amiche ferme davanti a un punto imprecisato della via. Pochi minuti dopo mi unisco alle loro facce perplesse davanti a quello che sembra un dojo giapponese (luogo per gli allenamenti delle arti marziali). Il civico è giusto, il nome pure. Le ho trascinate io fin qui dopo varie telefonate e una prenotazione al buio con 2 settimane di anticipo (prendere nota), non resta che pescare dal repertorio la mia faccia più disinvolta e suonare il campanello. Un ragazzo alto e gentile ci fa strada dietro le quinte della palestra fino a una piccola sala: pochi tavoli per uno spazio che è un tutt’uno con la cucina.
A separarli un minuscolo bancone dietro cui si destreggiano Maurizio e Miwako, coppia ai fornelli e nella vita, che dal 2009 resiste in quest’angolo di Centocelle proponendo una visione autentica e differente del Giappone. Perché differente? Beh, per prima cosa questo non è un ristorante ma un’associazione culturale, nata con lo scopo di diffondere la cultura giapponese a Roma. Per questo Maurizio ha cominciato dal 2009 a insegnare karate della scuola di Okinawa nella piccola palestra, alternando ai corsi proiezioni di pellicole, esposizioni e altre attività in un’atmosfera casalinga, che guarda ai dojo in casa del maestro più che alle etichette modaiole del “polifunzionale”.
“Ma dopo la palestra bisognava mettere qualcosa sotto i denti”. Presto detto, Maurizio in vacanza dalla famiglia di Miwako “con troppo tempo libero”, ci racconta, raggiunge uno zio che ha una piccola osteria: “lì ho imparato tutto”, spiega. "Tornati a Roma i nostri amici non riuscivano a credere di poter mangiare davvero come in Giappone”. Ma il sushi no? Chiedo. Percepisco un fremito dall’altra parte del bancone. Devo averla detta grossa. Ma per fortuna Maurizio dev’esserci abituato. "Il sushi come piatto tipico giapponese – mi spiega paziente – è una leggenda metropolitana diffusa da un ambasciatore giapponese che, ghiotto di quello che in Giappone è considerato niente di più che un cibo da strada simile al nostro supplì, lo presentò come simbolo della cucina del proprio Paese. Ma la vera cucina in Giappone è tutt’altro. Quella che conosco io, dopo anni di andirivieni insieme a Miwako, sono le piccole locande nel bel mezzo della campagna, o nel retrobottega delle case dei contadini o delle palestre. La cosa bella è che questi posti non hanno davvero niente a che fare con l’immaginario che l’Occidente ha costruito intorno al Giappone. Si beve birra e si ascoltano i Led Zeppelin mescolati agli ultimi successi pop. Lo dico sempre alle persone che si stupiscono della selezione musicale qui – sorride mentre la piccola sala è percorsa da un reef dei Guns N' Roses – Sarebbe molto più semplice allinearsi al mercato e continuare a proporre sushi, ma quel che avevamo in mente con questo posto era un polo, forse il primo a Roma, da cui partire per diffondere un’idea diversa, autentica del mondo giapponese, a tavola e non".
Che altro dire. Potrei spargere fiumi d’inchiostro sulla storia di questa coppia coraggiosa e creativa – traduttore di manga e dottorato in lingue e culture orientali lui, maga dei fornelli lei – ma preferisco lasciar parlare il cibo.
Cominciamo con un piatto di maiale stufato servito con riso e porro seguito dai ghiottissimi gyoza (ravioli alla griglia giapponesi).
Io opto per un curry con riso, avvolgente e aromatico come pochi altri, declinato anche nella versione ramen e con udon (il preferito di Miwako…ma per dovere di cronaca li assaggiamo tutti);
Qualcun altro opta per un ramen di pollo; il brodo è incredibile in entrambe le versioni, mai provato niente del genere.
A questo punto il consesso decide all’unanimità che non possiamo andarcene senza aver provato i leggendari takoyaki della padrona di casa, palline di pastella croccate e leggera che appena morse lasciano esplodere sul palato un’apoteosi di polpo appena saltato in padella che mi resterà nel cuore anche per i giorni seguenti. Chiudiamo con un tiramisù al tè verde da dividere in 4 come la nostalgia per quella piccola stanza che ci manca già. La tamponiamo con un giro di saké caldo e usciamo accompagnate dalle parole gentili di Maurizio e Miwako, con la sensazione di essere appena sfuggite a un angolo di paradiso ritagliato nel mondo reale. E qui l’amletico dilemma: diffondere o non diffondere il verbo su Puntarella? È stata dura, ma eccoci qua. Fatene buon uso.
Costo totale della cena a persona: 20 euro; costo piatti principali (ramen e curry) 14 euro. Consigliata la prenotazione con almeno una settimana di anticipo (per la cena durante il weekend)
Associazione culturale Waraku, via Albimonte 12-12a. Aperto tutti i giorni dalle 12.30 alle 15 e dalle 20.30 alle 23. Chiuso il lunedì sera e tutto il martedì. Sito Tel. 329 7248911 – mail: waraku@libero.it.