Hostaria dell'Omo a Roma Ma una trattoria vera, di quelle di una volta, con la tovaglia bianca, il cameriere un po' anziano, il mezzo litro di rosso, la targhetta delle prenotazioni d'ottone, i grissini in busta, il profilato d'alluminio anodizzato alle porte? La domanda incombe, come una mannaia, su chiunque si occupi di ristorazione a Roma. E come una mannaia arriva spesso la risposta: non c'è e se c'è si mangia male e comunque siamo sicuri che siano un bene queste trattoriacce di una volta? Il preambolo è per parlarvi dell'Hostaria dell'Omo, a due passi da Termini, fortino di resistenza all'avanzata di massaggi cinesi e phone point asiatici. Qui gli anni '60 non sono mai passati e la modernità arriva un po' sfocata dietro le tendine bianche. Pochi giorni fa, per dire, si è materializzato il Pos, miracoloso aggeggio che incassa denaro e sforna scontrini. E il proprietario è ancora lì che smanetta con questi incomprensibili tasti. E insomma, eccoci nella sala spoglia ed essenziale come un Grundig in bianco e nero, dove si mangia romano puro, senza punte d'eccellenza ma discretamente. Se siete perplessi, date un'occhiata al carciofo alla romana: la commozione è dietro l'angolo.
La zona è triste che più triste non si può. Una vietta anonima, percorsa da ubriachi e gruppi di studenti erasmus, lentamente divorata dalla legittima voracità delle comunità straniere. Racconta il proprietario Antonio, guardando la foto del 1964 con l'inaugurazione della Trattoria Bottiglieria, creata dal padre: "Siamo gli ultimi a resistere. Fino a sei sette anni fa eravamo in tanti. Ora hanno appena aperto un centro massaggi al posto dello storico parrucchiere. Ma io non gliela do vinta, non vendo".
Il locale è uno stanzone semplice, spartano al limite del brutto, che sembra riprodurre una sala d'attesa ferroviaria.
Alle pareti un perlinato di plastica beige e quadri non proprio artistici. C'è una grande mappa geografica e una collezione di calendari, gagliardetti e targhe di polizia, carabinieri ed esercito. Qui vicino c'era la caserma di Castro Pretorio e spesso i militari venivano a farsi due spaghi.
Alla fine della sala c'è un bel bancone e un tavolo nascosto.
La cucina è semplice, senza nessuna pretesa che non sia quella di lasciare un buon ricordo. Ai fornelli c'è la signora Giuseppina, madre di Antonio.
I bucatini all'amatriciana sono densi di sugo, ricchi di pecorino e saporiti come non mai.
Il menu, scritto in molte lingue, è lungo e pieno di piatti antichi, semplici: troviamo tra i primi pasta e ceci (8,5), zuppa di verdure fresche (8,5), stracciatella (8,5), carbonara e amatriciana (9,5), pappardelle al sugo di pajata di agnello. E qualche piatto che è in menu dagli anni '70-80, come le fettuccine "mari e monti" e gli spaghetti con gambero imperiale e zucchine (13). Tra i secondi abbacchio allo scottadito (14), coda alla vaccinara (14), ossobuco di vitella (13), petto di vitella alla fornara (12), scaloppine al marsala (12), scamorza in padella (8), gamberi al brandy martell (23). E molto altro ancora, compreso naturalmente il carciofo alla romana (4). Nel cestino del pane, naturalmente, le rosette.
Alla fine, il conto è onesto: superati gli impacci con il bancomat, arriva anche uno sconto e un amaro Nerone in omaggio.
Bonus: è un buon posto per provare a immaginare come doveva essere negli anni '60, quando ancora i ristoranti non erano allestiti da architetti, i cuochi erano nonne e non chef e i cellulari erano solo quelli della polizia
Malus: il prezzo dei primi romani (9,5) non è esattamente da trattoria. Se siete schizzinosi, vi piacciono posti raffinati e moderni, se vi aspettate una cucina straordinaria, non è il vostro locale
I voti di Puntarella Rossa
Cucina: 6,5
Ambiente: 6
Servizio: 7
Hostaria dell'Omo, via Vicenza 18, Roma. Tel 06 490411