Al Barbacoa di Milano il Wine Spectator Award of Excellence 2014. Di solito si suggerisce di abbinare a una cucina tipica un vino della stessa zona. Di solito. Oggi invece vi suggeriamo l’opposto, proponendo il vino italiano con la cucina in stile brasiliano. L’idea, in realtà, è venuta al Barbacoa, raffinato ristorante milanese specializzato nella preparazione della carne con metodo churrasco. Collocato nel cuore della moderna “city”, con lo skyline più contemporaneo di Italia, si è aggiudicato il Wine Spectator Award of Excellence 2014, uno fra i più importanti e prestigiosi premi enogastronomici del panorama internazionale.
La strategia adottata dal ristorante, in effetti, è stata coraggiosa: fornirsi di una scelta molto ampia di bottiglie, con oltre 180 etichette, esclusivamente di vino del Bel Paese. Dal Trentino alla Sicilia, si trova un condensato dell’intera produzione enologica italiana, in una gaudente cantina completamente a vista, protetta soltanto da una porta a vetri. Il churrasco è uno dei modi più semplici per cucinare la carne: in teoria, basta infilzarla con grandi spiedi, aggiungere sale grosso e metterla vicina al fuoco. Le difficoltà, però, sono molte: dalla scelta dei pezzi alla valutazione dei tempi di cottura, sulla base dei tagli, ma anche dei gusti personali. Per la picanha (il codone) sono sufficienti pochi minuti accanto al fuoco, per la costata di manzo due ore e mezza, per la gobba di bue fino a quattro ore.
Forse ancora più complessa è l’arte dei passadores, che tagliano la carne direttamente sui tavoli dei clienti, armeggiando tra spiedi e coltelli con una disinvoltura che si conquista dopo almeno quattro mesi di formazione e molti anni di pratica. E, soltanto quando si è davvero esperti, si può provare a tagliare la picanha, con la necessaria accuratezza e competenza. “Per un perfetto churrasco – dice il responsabile delle carni, Edinei Lorrea De Quadros – è necessario scegliere la materia prima migliore, che pur può arrivare da diverse parti del mondo. La carne deve essere fresca e deve contenere anche un po’ di grasso, per garantire i succhi durante la cottura e la tenerezza finale nel piatto. Ogni pezzo va curato e cucinato singolarmente, perché i metodi di preparazione sono completamente diversi. Se per il manzo può bastare un po’ di sale, il pollo e l’agnello, ad esempio, vanno marinati ore prima”.
Ma come la mettiamo con la scelta tra le 180 etichette? Con la carne cotta allo spiedo e semplicemente salata, l’abbinamento ideale è con un vino dal tannino morbido, di struttura e ricco di estratto secco, come un Barbaresco, un Taurasi, un Brunello di Montalcino. Eppure, mai come in questo caso, la fantasia va premiata e ci si può anche permettere un accostamento meno prevedibile: “Mi piace – spiega Roberto Raffaelli, già direttore di un’enoteca milanese e orasommelier del ristorante – lasciare spazio all’inventiva dei clienti. In carta abbiamo anche venticinque bianchi, tra riserve e monovitigni di pronta beva. I produttori italiani hanno compiuto un salto di qualità enorme negli ultimi dieci anni ed è giusto che vengano premiati. In questo periodo vanno molto di moda il Valpolicella Ripasso e il Morellino di Scansano e molti sono conquistati anche dai vini del Sud Italia”.
Certo, con vini dai 18 ai 350 euro, la scelta è impegnativa, ma compito del sommelier è anche quello di “interpretare i gusti del cliente, portando a bere con piacere, senza spendere più di quanto ci si possa permettere.” E se si vuole fare proprio bella figura, con il churrasco si può provare l’abbinamento più sfizioso, con un Primitivo di Manduria o un Sannio Piedirosso. Il modo migliore per accorciare l’Atlantico, avvicinando l’Italia al Brasile. Aspettando i prossimi Mondiali…
di Danilo Poggio © Il Fatto Quotidiano / Puntarella Rossa