«Sugo», «Zio Ciro», «Pummarola e Drink», «Il pizzicotto», «Il tonnarello», «Jamma», «Frijenno». Nomi che chi frequenta ristoranti e pizzerie a Roma conosce, anche solo per aver visto l'insegna. Ecco, ora l'insegna non la vedrà più, perché i carabinieri del Ros, su mandato della Dda di Roma, li hanno sequestrati: 23 tra ristoranti e bar del centro storico di Roma. L'accusa: riciclaggio di denaro sporco, per conto del clan camorristico Contini.
Di napoletano questi locali, avevano ben poco. Basta esserci entrati per accorgersi che erano i tipici posti turistici, nel senso deteriore del termine. Spesso sporchi, con prodotti di scarto, camerieri svogliati. I proprietari spesso erano prestanome. La proprietaria di Zio Ciro Mangianapoli, in via Col di Lana, era una quarantenna slovacca, Denise Papcova. Che la criminalità organizzata si sia infiltrata nei locali e bar di Roma (non solo napoletani) è noto da tempo. Lo aveva detto, tra le polemiche, anche la radicale Rita Bernardini. Di molti locali si sa: il passaparola corre ma senza prove non si può e non si deve scrivere, naturalmente. Si può invece, e noi lo facciamo, evitare di frequentare e parlare bene di posti notoriamente ambigui, in attesa che la magistratura faccia il suo lavoro. E valorizzare i molti locali, napoletani e non, dove impegno e dedizione, onestà e passione, sono lampanti. Non è sempre facile discernere, ma anche così si può collaborare per evitare che la camorra si diffonda a macchia d'olio e finisca per restare associata indelebilmente alla ristorazione napoletana. Un danno pesantissimo, economico e di immagine, per la Napoli vera.