Nessuno, a parte gli augusti genitori, si immagina, e la gentile consorte, ha mai visto il suo volto. I ristoratori milanesi lo temono come il peggiore dei clienti. E lui li ripaga con cronache straordinarie, scritte con una lingua sarcastica, ai limiti dello sberleffo, ma anche con un'onestà e una dedizione che pochi giornalisti si possono (o si vogliono) permettere. Valerio M. Visintin, mercoledì 11 dicembre dalle 21, farà la sua apparizione, debitamente mascherato, come da foto, al cinema-bistrot Kino, di via Perugia 34, a Roma. Un incontro con Mario Lavia, vicedirettore di Europa, e Lorenza Fumelli, direttrice di agrodolce.it, nel quale potrete togliervi tutte le sue curiosità e nel quale presenterà la sua ultima fatica, quel libercolo esilarante e istruttivo che va sotto il nome di "Osti sull'orlo di una crisi di nervi". Non si esclude che, presenti tra il pubblico e mascherati con pesanti baffoni, ci siano noti ristoratori pronti ad aggredire il Visintin. Il Kino ha rafforzato le sue misure di sicurezze e Puntarella Rossa vi offre un paio di brani tratti dal suo libro, nel quale spiega "la pessima fama" che investe la categoria del critico gastronomico e racconta il "ridicolo bon ton" dei ristoranti di lusso.
Rovesci del mestiere
"La pessima fama che investe la mia specifica categoria è del tutto campata per aria. So di miei omologhi che apparentemente confondono il loro ruolo con quello del cronista mondano, sfarfallando per vernissage, flirtando a cena con le graziose signorine degli uffici stampa, fraternizzando con gli chef e con gli osti. Ma è universalmente noto che l’apparenza inganna. Un mio autorevole collega, che per comodità chiamerò Alcide Cosetto Frapp, non perde occasione per spiegare che le sue recensioni, così morbide e indulgenti, sono frutto di una precisa opzione morale. “Io sono pagato per dispensare consigli al lettore. Non s-consigli”, dice ricamando un fulminante neologismo. “Quel che non va, non lo scrivo, ma lo dico in separata sede al mio amico ristoratore.” E non mente. È provato che, malgrado rilievi e rimbrotti, tutti i ristoratori lo ripagano con affettuosità sincera e tangibile gratitudine. Onorare alla lettera questo nobile teorema – elargendo favori, scansando “s-consigli”, cercando poeticamente il bello d’ogni cosa – è prassi inopinatamente rischiosa.
Il ridicolo bon ton dei ristoranti di lusso
L’altro giorno, sedendo a un tavolo del Marchesino, consideravamo quanto sia macchinoso, ridicolo e più che altro scomodo il cerimoniale dei ristoranti d’alto bordo. In questa creatura senile del sommo Gualtiero Marchesi (dove l’ambiente è così così, dove si mangia così così, dove il conto è grosso così) si replica in pose di gesso tutto il cliché di un bon ton anacronistico, che non solleva nemmeno quel po’ di stupore da museo delle cere. Perché confligge col nostro comfort, col nostro diritto a goderci la cena tranquilli e indisturbati.
Il primo atto è la consegna dei tovaglioli, che in effetti non scorgiamo sulla tavola di bianco vestita. Ce li porta un ragazzino incartato in un frac che non gli vuol bene. Reca con sé una cesta. La culla tra le braccia come le contadinelle del presepio. Pare non contenga minacce, finché ne estrae fulmineo un lenzuolo, tenendolo per un angolo e facendolo fluttuare nell’aria come le micidiali armi dei thugs salgariani. Impossibile credere che si tratti di un tovagliolo. Per fortuna lo spavento è mitigato dalla certezza che ci terranno in vita almeno sino al saldo del conto. Ma in questi aurei saloni hanno ben altre prove in serbo per noi. La più ostica è l’individuazione di un cameriere al quale rivolgersi per qualche semplice domanda sul menu o per una qualsiasi contingenza.
È un problema che si pone non già per assenza di personale. Piuttosto, per la ragione contraria, essendo in atto un valzer di figure in giacca nera rigidamente costrette a singoli doveri. Alcuni sfilano silenti e segreti come fantasmi, sordomuti per contratto, relegati a mansioni minori e invisibili all’occhio umano. Altri sono abilitati alla consegna dei piatti, ma hanno il divieto di recepire le comande. Poi c’è l’addetto al pane, che non può servire il vino. C’è l’addetto al vino che del pane non deve intuire nemmeno l’esistenza. E c’era, anni fa in uno di questi ristorantoni, un severo signore in sosta davanti alla cucina, il quale si limitava a ricambiare amabilmente i nostri sorrisi. Per indurlo a un’attenzione più attiva, gli feci cenno, discreto ma inequivoco, di avvicinarsi al nostro tavolo. Non fu una buona idea, poiché il bruto reagì seccamente voltandoci le spalle. Scoprimmo qualche minuto più tardi che si trattava di un noto avvocato in anticipo sui suoi commensali.
L’ambito nel quale, sopra a tutti, il galateo della ristorazione si produce con accanimento patologico è, però, quello che riguarda il vino. A parte le dimensioni dei calici, che crescono di anno in anno come le piante da giardino; a parte le manfrine del sommelier che in casi non rari assaggia il vino prima di farlo testare al cliente (ma, perbacco, è il mio vino!); è invalsa la più fessa delle usanze. Tenere, cioè, la bottiglia lontana dal nostro tavolo e dalla nostra vista, in un recesso misterioso e inaccessibile. È già abbastanza irritante subire il continuo, arbitrario rabbocco del bicchiere; ma con l’esilio della bottiglia si istituisce definitivamente un rapporto di totale dipendenza dal cameriere preposto alla mescita.
Ebbi uno scontro verbale a questo proposito col sommelier di Cracco Peck (lo chef non si era ancora reso indipendente dalla celebre gastronomia). Non ci fu niente da fare. Arrivò persino a dire che se mi avesse portato la bottiglia al tavolo avrebbe mancato di riguardo agli altri avventori. Così, ora non litigo più. Mi limito a tessere un sordo duello col cameriere. Bevo all’impazzata, bevo in dribbling, bevo in contropiede, bevo di nascosto a ogni occasione per poter tuonare con rimprovero: “Mi serve questo vino, per cortesia, o no?”. Naturalmente concludo la battaglia in leggera defaillance alcolica. Ma volete mettere la soddisfazione?
Brani tratti da "Osti sull'orlo di una crisi di mezzo", di Valerio M. Visintin, Terre di Mezzo
Incontro al Kino di via Perugia 34, mercoledì 11 dicembre dalle 21. Info Tel 06.96.52.58.10