Abbiamo provato a digitare "Jo Squillo e topo", su Google, ma niente. Solo pezzi vari, tra il divertito strambo e l'indignato finto, di autorevoli riviste, da excite magazine a roditori online. C'è tutta la storia, Jo che oltre le gambe c'è di più, che solleva l'oliera, vede Ratatouille e urla neanche fosse una punk e il cameriere che porta il topo in cucina e chissà che gli fa, lo strangola, lo seppellisce nella farina, lo rimette in dispensa. E poi le regole europee, la battaglia sulle oliere, i furbetti dell'extravergine. Tutto tranne quello che volevo sapere: qual è questo ristorante del Marais? Dov'è successo? Niente (salvo che qualche benemerito l'abbia scovato), solo un generico Marais, il "rione Monti" di Parigi (si fa per dire). Il solito vizietto di non fare nomi, come se fosse reato, come se fosse un'indiscrezione. Ma è cronaca. Se hai trovato un topo vivo che sguazza nel Carapelli, tu che hai scritto "Violentami sul metrò", hai il dovere di dire dove. E' come quando i Nas sequestrano bar e ristoranti con elefanti indiani in decomposizione offerti come tartare di spigola. O ristoranti di lusso del Quadrilatero di Milano o di via Condotti con orate surgelate dal '46, senza che mai si riesca a sapere come si chiamano. Privacy, dicono. Ipocrisia, piuttosto. Un malinteso senso di discrezione e di rispetto. Insomma, si sarà capito, quel che si vuole: fuori il nome. Vogliamo sapere.