di Natascia Gargano © Il Fatto Quotidiano / Puntarella Rossa
Gelato artigianale. Che estate sarebbe senza il gelato. Anzi, senza un buon gelato. Perché gli amati coni da passeggio non sono tutti uguali. E saperli riconoscere fa la differenza. Scopriamo come si fa con Gabriele Poli, ideatore di Gelato Festival.
Quando si può parlare di gelato di qualità?
Per cominciare, sfatiamo un mito: gelato di qualità non è più esclusiva artigianale; esistono infatti buoni gelati artigianali e pessimi gelati industriali e viceversa. Fatta questa premessa, resta che un ottimo gelato artigianale ha caratteristiche differenti da un ottimo gelato industriale.
Che differenza c’è tra i due?
Nell’artigianale il latte fresco è l’ingrediente principale, costituisce circa il 60% del prodotto, mentre gli zuccheri rappresentano circa il 20% e il tenore dei grassi resta al di sotto del 9-10% . Nell’industriale invece c’è una maggiore quantità di grassi, il latte viene ricostituito con latte in polvere ed ha una maggior percentuale di “overrun” cioè la quantità di aria incamerata nel processo di mantecatura; si può riconoscere questo particolare poiché le vaschette in vendita nella grande distribuzione contengono 500 gr di Ice cream in circa un litro di confezione. Queste ultime stanno a una temperatura di circa -18 gradi, mentre per l’artigianale la temperatura di servizio si aggira dai -12 ai -16° C.
Allora come possiamo assicurarci di mangiare un buon prodotto?
La vera differenza la fa la qualità delle materie prime utilizzate. Dunque, come prima cosa consiglio di scegliere gusti di stagione: se ordino una coppa di fragola a dicembre è ovvio che non sto mangiando un gelato prodotto da un ingrediente fresco.
Oltre alla stagionalità a cosa possiamo prestare attenzione?
Meglio evitare i gelati con un gusto tipo “fuoco d’artificio”, cioè che rimane in bocca pochissimo e poi lascia il nulla dopo l’esplosione iniziale: è indice di qualcosa che non va. Diffidiamo dai sapori troppo marcati, di qualsiasi tipo: al primo impatto sembrano più buoni ma probabilmente hanno un apporto chimico. Un gelato ben bilanciato, realizzato cioè bilanciando bene gli ingredienti, e in cui i processi di pastorizzazione e mantecazione sono stati eseguiti al meglio, non presenta molti cristalli e si caratterizza per una struttura stabile che si riconosce da una cremosità evidente al palato.
Altri consigli?
È bene fidarsi dei colori tenui e stare alla larga dalle tinte troppo forti, irreali. Il “puffo”, adorato dai bambini, è l’esempio più lampante, ma c’è non solo quello. Il pistacchio, ad esempio, ha una tonalità naturale marrone chiaro. Se invece lo troviamo con un colore sparato è segno che contiene coloranti, anche se premetto che la recente normativa sull’uso di quest’ultimi, permette l’uso di prodotti naturali per colorare.
Meglio vaschetta o pozzetto?
Sono scuole di pensiero. La vaschetta tende a valorizzare la vista, ed è pensata per un gelato “che si mangia con gli occhi”. La carapina riprende il metodo antico di conservazione ed è tornata molto di moda da Grom in poi. Nei pozzetti il gelato sta al chiuso e dovrebbe dunque essere conservato meglio, ma spesso è solo un’idea.