Lesson Six / Degutazione del vino – l’importanza dell’olfatto (parte prima) Ho sempre pensato che il vino si bevesse con la bocca. Poi ho scoperto che si beve col naso. Sì, decisamente col naso. D’altronde l’olfatto è, senza dubbio, il principe della degustazione. Senso reietto riabilitato, portato finalmente sul trono della percezione. «Basta sfiorare il filo teso di un profumo che i ricordi risuonano immediatamente» ha scritto l’autrice americana Diane Ackerman. Parlava dell’olfatto, angelo caduto della nostra cultura, senso bistrattato perché poco utile, poco pratico in un mondo dove il pericolo non si fiuta più attraverso il naso. L’odorato non ha la razionale selettività della vista o dell’udito, è più immediato, grezzo, anche un po’ naif. È uno stimolatore di sensazioni, è il senso delle emozioni e della memoria.
Così, prima di tuffare la buffa protuberanza nel bicchiere e restituire al naso, anche se per pochi attimi, un ruolo di primo piano, vorrei dilungarmi proprio sul suo eccezionale potere evocativo e sentimentale.
Alzi la mano chi non abbia mai sperimentato la forza di un odore connessa alla memoria. A volte basta sentire un profumo e in un attimo, lampante e immediato, si compone un ricordo nella mente. Attraverso il naso si smuovono e si riattivano ricordi. Spesso sono di natura positiva, legati a momenti lieti dell’infanzia, a viaggi, a parenti o vecchi amori. Anche un odore sgradevole, fatto curioso, riporta spesso alla luce un ricordo piacevole. L’odore di nafta di un gommone in una giornata al mare, il cloro della piscina in cui si imparava a nuotare da bambini, l’odore caldo della metropolitana di una città visitata anni prima. I profumi hanno l’incredibile capacità di risvegliare d’improvviso un momento del nostro passato, di far riaffiorare un’emozione o un’esperienza. Sono piccoli battelli per solcare il mare del tempo, per riportare alla luce gioie e dolori, malinconie e nostalgie, struggenti armi capaci di suscitare emozioni. Così, prima di chiudere con due suggestioni che amo, un piccolo consiglio: annusate il mondo. Aprite il frigo e odorate il burro, la marmellata, la frutta. E ancora il legno della vostra scrivania, i fiori sul davanzale, le piante del giardino. E poi tornate in cucina e annusate il caffè e le spezie, in bagno i medicinali e il sapone. Odorate ogni cosa, riattivate l’olfatto e ampliate la vostra memoria olfattiva. Perché gli aromi si percepiscono, non si descrivono. Se non li conoscete non li sentirete mai in un bicchiere. Fate esperienza degli odori perché nessuna descrizione, seppur dettagliata, potrà mai lontanamente avvicinarsi a ciò che un profumo è davvero.
«E tutt’a un tratto il ricordo è apparso davanti a me. Il sapore, era quello del pezzetto di madeleine che domenica mattina a Combray (perché nei giorni di festa non uscivo di casa prima dell’ora della messa), quando andavo a dirle buongiorno nella sua camera da letto, zia Léonie mi offriva dopo averlo intinto nel suo infuso di tè o di tiglio. La vista della piccola madeleine non mi aveva ricordato nulla prima che ne sentissi il sapore. […] Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili, ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore permangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare – loro, goccioline quasi impalpabili – l’immenso edificio del ricordo» (Marcel Proust, La strada di Swann).
Vi sono profumi freschi come carni di bimbi, dolci come gli oboi, verdi come i prati, – E altri, corrotti, ricchi e trionfanti, che hanno l’espansione delle cose infinite, come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso, che cantano l’ebbrezza dello spirito e dei sensi. (Charles Baudelaire, Les Fleurs du Mal)