Degustazione del vino / Livia’s wine, lesson four. L’idea è di riprendere le nozioni del corso di avvicinamento al vino che curo per Puntarella Rossa (il prossimo a settembre 2017) e, ogni tanto, tra un articolo e l’altro, fare qualche breve pillola di degustazione e vinificazione. Come fosse un piccolo corso online dove – e questo è un grande limite – manca la parte più piacevole, l’assaggio del vino. Oggi partiamo con la prima fase, l’esame della vista. Non servono occhiali né oculisti ma un buon bicchiere di vino da osservare potrebbe essere un buon compagno di lettura.
Eccolo lì. È nel bicchiere. Vi guarda, vi osserva immobile nella sua conca trasparente. E vi giudica. Potreste sbatacchiarlo come i panni in lavatrice durante la centrifuga, fargli assaggiare la pericolosa supremazia della forza di gravità per poi sentenziare, quasi con stizza, che è rosso. O bianco. Oppure rosato. Magari ambrato se ha qualche anno sulle spalle. Oppure granato. Forse mattone, se sembra ormai sui viali del tramonto. O porpora, è un giovincello e ancora deve farsi. Ecco, senza temporeggiare ulteriormente, entrerei nel vivo della degustazione.
Dal cilindro dei sensi la prima ad essere estratta e interpellata è la vista. Per una volta scalzata dallo scalino più alto, senso primario per eccellenza, ha nella degustazione un ruolo gregario ma non inutile. Può fornire degli indizi, orientarci su una strada.
Quando si analizza visivamente un vino ci si trasforma in detective sulla scena di un delitto. Analizzando il cadavere, gli oggetti sparsi per terra, il sangue e ogni particolare che è di fronte agli occhi, si possono fare congetture e ipotesi. Per quanto riguarda il vino fortunatamente manca l’aspetto cruento – tutt’al più qualche analoga colorazione – mentre in comune si ha la modalità di analisi e la ricerca di indizi. E se nel caso della scena del delitto la verifica avviene attraverso perizie di ogni genere, rilevamenti e quant’altro, qui ha luogo attraverso le successive e fondamentali analisi di olfatto e gusto. Insomma, se la vista fosse un detective sarebbe un detective un po’ scemo e naif, una sorta di Ispettore Gadget che, per trovare il bandolo della matassa, chiederebbe aiuto a compagni più autorevoli come Sherlock Holmes e Maigret, l’olfatto e il gusto.
Così, berretto calcato sul capo, sorriso un po’ stupido e impermeabile, siamo di fronte al nostro bicchiere. Bisogna interrogarlo. E sbatterlo contro un tovagliolo bianco un po’ come si fa coll’imputato contro il muro per un confronto all’americana. Limpidezza, colore, consistenza ci parlano del vino. Lo stesso fanno le sue bolle – anche se con un margine di inaffidabilità elevato – se nel bicchiere c’è uno spumante.
1° indizio: la limpidezza
Un vino sano è (dovrebbe) essere limpido. L’assenza di particelle in sospensione è un lasciapassare alla fase successiva. Un liquido torbido, velato, indica con tutta probabilità la presenza di un difetto nel vino. Così sembra tutto facile, o almeno coerente quanto un’equazione matematica. Limpido si va avanti. Velato ci si ferma. Ma ovviamente non è così. Il mondo del vino è fatto di continue eccezioni che confermano la regola ed è quindi vietato generalizzzare. Il produttore potrebbe non aver filtrato il vino di proposito oppure potremmo essere di fronte a un vecchio Barolo con un po’ di deposito, fatto assolutamente fisiologico. Così, a meno di non aver davanti un vino palesemente velato, prima di dare un giudizio di valore bisogna proseguire con l’indagine.
2° indizio: il colore
Bianco, rosso, rosato. E ancora tra i rossi: violaceo, porpora, rubino, granato, aranciato, questi i colori che ti insegnano a riconoscere al corso da sommelier. Ma le sfumature di un vino possono essere infinite e ognuna può dirci qualcosa di utile o trarci in inganno. Partiamo dalle basi. Responsabile del colore del vino è soprattutto la buccia. Al suo interno sono contenuti i polifenoli e in particolar modo gli antociani che, nonostante il nome criptico e tecnico, non sono altro che le sostanze responsabili del colore di un vino. Per semplificare, più un’uva possiede antociani, più il colore del vino, a parità di altre variabili, sarà intenso. Così un pinot nero, vitigno dalla buccia scarsamente antocianica, sarà di colore poco intenso al contrario di un syrah o di un merlot dalle nuances più cariche e compatte. Ma il colore non dipende solo dalla tipicità del vitigno ma anche dal suo stato evolutivo. Un vino rosso giovane avrà un colore più rubino che con l’evoluzione tenderà al granato. Per i bianchi si passa da un giallo verdolino, al paglierino, al dorato fino all’ambra. E un bianco siciliano, magari passato in legno, assumerà un giallo dorato che un giovane e affilato pinot bianco dell’Alto Adige non avrà, vestendosi invece di note brillanti e sfumature più verdognole. Questo perché le tecniche di cantina influenzano il colore così come l’ambiente pedoclimatico in cui l’uva cresce. E allora quando il nostro Ispettore Gadget esclamerà con piglio risolutivo che il bianco dorato che ha davanti è certamente uno chardonnay siciliano che ha fatto legno potrà essere smentito con facilità. Potrebbe essere infatti anche un bianco nordico che ha subito una criomacerazione sulle bucce acquisendo un po’ di quel colore che naturalmente non ha. Insomma, un po’ di fard sulle guance che sembra abbronzatura. Questo per dire che di congetture se ne possono far tante osservando tonalità e intensità ma se il vino non si annusa e non si assaggia non si può dare un giudizio insindacabile. Se poi ci soffermiamo a pensare ai colori reali del vino forse il rosato è l’unico che rispetta davvero la sua etichetta e si rivela più coerente a livello di colore sfumando dal rosa tenue, al cerasuolo, al chiaretto fino ai più seducenti – a mio avviso – buccia di cipolla e arancio che spesso si ritrovano in eleganti rosati della Costa Azzurra e della Camargue.
In attesa della seconda parte dedicata alla vista un piccolo invito. Entrate in enoteca e acquistate 2 bottiglie di vino. Un syrah e un pinot nero ad esempio. Aprendoli e mettendoli nel bicchiere noterete immediatamente una differenza abissale di colore essendo due vitigni dai valori antocianici contrapposti. Il syrah, volendo questa volta un po’ generalizzare, avrà un intenso colore rubino-violaceo tipico di questo vitigno mentre il pinot nero, più timido, assumerà note tenui e un rosso rubino scarico, quasi granato. Se fate lo stesso con un bianco altoatesino passato solo in acciaio e un bianco siciliano passato in legno avrete lo stesso scarto di colore anche se, e questo vi sarà facile comprenderlo cominciando ad osservare ogni vino, è molto più facile riconoscere le sfumature dei rossi piuttosto che dei bianchi poiché l’occhio umano è più sensibile alle tonalità tra il rosso e il viola.
Non so quale sia il vino che avete deciso di osservare (= bere) quest’oggi, io osservo un rosso dalle tinte struggenti e antiche. Un barbaresco. Vino piemontese, considerato (a torto) fratello minore del Barolo. Lo produce la Cantina Produttori del Barbaresco, il base ha un eccezionale rapporto qualità/prezzo (in enoteca a circa 20-25 Euro). Vi ammalierà con toni snelli ed equilibrati, note floreali e agrumate che scivoleranno in accenti speziati e di torrefazione con l’evoluzione.