Zelia Pastore
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Immaginate l’emozione di sedersi ad un bancone, chiedere “il solito” e vedere il cameriere che invece di versarvi un vodka martini (agitato, non mescolato) vi mette davanti un purè e una millefoglie di melanzane con mozzarella, basilico, zucchine grigliate e pomodori secchi. Tutto questo può accadere davvero, basta recarsi a Parigi, al 113 degli Champs Elysées, all’Atelier Etoile. Qui si annida la concretizzazione della visione di Joel Robuchon, fantasioso chef d’oltralpe, che dopo un “esilio culinario” di 7 anni dovuto a problemi di salute, all’inizio del nuovo millennio ha deciso di aprire il primo ristorante senza tavoli, l’Atelier Saint-Germain in rue De Montalembert, a cui è seguito appunto l’Etoile.
Bancone su tre lati e cucina a vista, elegante e minimale, dove la gente sospettosa può finalmente controllare cosa succede ai fornelli. Sottilissime paratie dividono un commensale dall’altro, così volendo si possono addirittura scambiare due chiacchiere.
L’intuizione di Robuchon, 67 anni e ventotto stelle Michelin sul petto (più di chiunque al mondo), è stata quella di creare un locale dove si mangiasse bene ma che fosse anche rapido e conviviale, come i sushi bar orientali o i tapas bar degli spagnoli, dove si consuma una birra e si mangiucchia tutti in fila davanti al cameriere, appollaiati l’uno accanto all’altro. Con un primo e un dessert non si spendono cifre eccessive, per chi vuole assaggiare tutti i grandi classici del maestro c’è il menu degustazione Découverte. I piatti per la maggior parte non prevedono mai più di tre ingredienti a portata. Perché con preparazioni estrose è facile sorprendere, ma cucinare bene con pochi ingredienti è cosa da veri maestri. Le portate hanno nomi sintetici ed essenziali: il contrario di quello che avviene spesso in Italia. La ricetta vincente di questo cheffone a 28 carati può essere sintetizzata nell’eleganza ed essenzialità di uno stile di presentazione del cibo orientale, che sotto sotto però pensa ancora francese. Un venire incontro alle necessità del mondo sempre più frenetico in cui viviamo, che non concede neanche tempo di accomodarsi ad un tavolo, ma che lascia uno spiraglio per poter deliziare (rapidamente) il palato.
Il Risiko personale di Joel prevede oltre a Parigi anche Londra, Monaco, Las Vegas, Tokyo, Singapore, Hong Kong, Bangkok e Shanghai solo per citarne alcune: tutte con ristoranti già aperti o di prossima apertura. In Italia però tutto questo non fa presa. Robouchon ha tentato di aprire a Milano, ma inspiegabilmente non ci è riuscito. Non ha trovato nessun socio che rischiasse con lui. Probabilmente all’italiano medio l’idea di condividere il bancone fa pensare alla trattoria da quattro soldi o al bar similtavolacalda. Eppure Robuchon non è un tipo né improvvisato né superficiale. Figlio di una famiglia povera, mancato seminarista, nelle foto sorride mite, e intanto colleziona successi: apre ristoranti, pubblica libri e nel 1989 viene addirittura proclamato “chef del secolo”. Tutti lo amano e tutti lo chiamano, come il barbiere di Siviglia. Tranne che nel Belpaese, saldamente ancorato alla pizza. Ben servita su un comodo tavolo.