di Valerio M. Visintin
È stato “l’anno dei carini”. Ed è stata, per la ristorazione milanese, una annata mai vista, scompigliata da un flusso continuo di battesimi e di lutti. Il giro di giostra è stato talmente rapido, che nel corso dello stesso 2012 s’è eclissata all’improvviso anche qualche novità appena sorta. Non c’è dubbio che a rimescolare le carte siano state due massicce e contemporanee contingenze. Da una parte, i morsi della crisi. Dall’altra, la mania del “food”, dilagante come un’epidemia in ogni risvolto mediatico. Tutto questo non è sufficiente, però, a risolvere il rebus commerciale di questa rivoluzione, poiché non sembra rispondere alla logica della domanda e dell’offerta; visto che la clientela langue e le sale restano malinconicamente deserte. Vedremo quel che accadrà. Nel frattempo, dico “anno dei carini”, perché ha visto la luce una generazione di locali bellocci e caratterialmente fragili, come certi divi da sceneggiato tivù. Trattoriette e ristorantini curati nella forma, ma lacunosi nella sostanza, con problemi di continuità e di personalità in cucina.
Per questa ragione, mi sento di assegnare la palma del miglior esordiente dell’anno all’Osteria 55, un outsider che ha elaborato e perseguito una scelta audace, passionale, quasi sovversiva. Ovvero: interpretare la cucina vegetariana a beneficio di tutti, senza il solito settarismo mistico e vagamente punitivo. Al secondo posto, ho collocato De Gustibus, per la cucina limpida e per i prezzi civili. Augurandomi che ciò basti a medicare le ferite di un arredo e di un quartiere sbagliati. Al terzo posto, la gioventù animosa di Lupo Bistronomia. Quarto posto alla tranquilla e affidabile Osterì. Quinto ad Aromando, che avrebbe meritato di più, se i prezzi fossero stati un filo più morbidi.
Albo d’Oro
2009: Ratanà
2010: Fiorenza
2011: Pastamadre
2012: Osteria 55
Via Messina 55, tel. 02.49.75.22.86, chiuso domenica e alla cena di lunedi e martedi
Somiglia a un baretto anni Sessanta. Ma l’apparenza inganna. Routine convenzionale a pranzo. A cena, un coraggioso esperimento di cucina vegetariana, esportata dal ghetto culturale nel quale, solitamente, si confina da sé. Carlo (in sala, premurosissimo) e Michele (in cucina) porgono un menu per palati curiosi e attenti. Il tris di antipasti è un esordio felicissimo (a scelta tra: melanzanine ripiene alla parmigiana, raviolo di cocco al vapore, mini-burger di zucchine…). I primi mantengono il medesimo, aureo, rapporto tra fantasia e semplicità (gnocchi di patate viola con salsa al radicchio, riso al salto con crema al roquefort…). I secondi si limitano alle insalatone. Conto sui 30 euro, bere a parte.
2) DE GUSTIBUS
Viale Bligny 60, tel. 2.58.30.44.31, chiuso domenica e sempre a pranzo
Due menu paralleli. Da una parte un florilegio di specialità da (quasi) tutte le regioni d’Italia. Dall’altra, un focus su un singolo territorio che cambia di mese in mese. L’ambiente è incartato in un lusso un po’ provinciale, ma non fateci caso. L’atmosfera risulta comunque gradevole e rilassante. Il meglio della tradizione italiana interpretato con piglio personale, rispetto e vigore da uno chef esperto (Gerry, padrone di casa con la moglie Angela), folgorato all’improvviso da una insospettata vocazione creativa. Gerry osa il colpo ad effetto, ma lo fa con calcolo, precisione e una apprezzabile vigoria. Quanto al conto, è una somma corretta: sui 30/40 euro, bere a parte.
Via Gian Giacomo Mora 16, tel. 02.36.57.74.17, chiuso lunedì a pranzo
Largo ai giovani. Lupo Bistonomia è la ardimentosa impresa di un giovane imprenditore (Marco Lupo) e di una squadra di ragazzi pieni idee e di buona volontà. L’ambiente, biancorosso e spoglio e rimbombante richiederebbe una iniezione di umanità. Che non manca, invece, al servizio (improntato alla massima cortesia) e alla cucina (opera del trentenne Alan Foglieni), meditata e calibrata con giusto carattere e una certa ironia, come per il tris di fassona: un piatto che contiene una mini-tartare, un carpaccio e hamburger nano. Conto civile : sui 35/40 euro, bere a parte.
Via Vincenzo Monti 26, tel. 02.46.93.103, chiuso domenica
Facce pulite di giovanotti e giovanotte impegnati con levità al servizio in sala. Ambiente gradevole, senza fronzoli, nobilitato da un caldo parquet al pavimento. E una cucina adeguata al contesto: tranquilla, limpida, tradizionale ma meditata e non convenzionale. Lasciate perdere lo gnocco fritto (una mappazza mal cotta, macchiata di miele) con salumi (buoni). Scegliete tra piatti più centrati (specialmente i primi), come gli gnocchetti di zucca con prosciutto d’oca e salsa al vino rosso, il delicato risotto cacio e pepe con carpaccio di pere, la tartare di fassona con cous cous di panzanella. E, al momento del congedo, andate incontro senza timore a conto digeribilissimo: sui 35 euro, bere (bene) a parte.
Via Moscati 13, tel. 02.36.74.41.72, chiuso martedì a pranzo e lunedì
Un approdo davvero gradevole, il cui arredo getta uno sguardo ironico, ancor più che nostalgico, agli anni Cinquanta/Sessanta, seminando nella (eccessiva) penombra armadi, cucine economiche, giradischi e altri cimeli del passato. In cabina di regia una coppia di collaudata esperienza: i sommelier Cristina Aromando e il marito Savio Bina, entrambi dotati di chioma sbarazzina e vocati a un approccio compìto, un tantino burocratico ma lodevolmente professionale. La cucina elabora piatti ambiziosi su trame tradizionali, con risultati sempre discreti (pane carasau con burrata e bottarga, testaroli con porcini secchi, linguine piccanti con salsiccia e verza, pollo alla senape e dragoncello…). Conto sui 40 euro, bere a parte.