Milano, luci e ombre di Pisacco

di Valerio M. Visintin

“Si mangia benino e si spende poco”. Pisacco – pièce gastronomica nuova di zecca, sceneggiata a più mani, col prestigioso contributo (esterno) dello chef Andrea Berton – è uno di quei locali che vorrei poter liquidare in due rapide battute, commisurando il testo al suo peso specifico e risparmiandomi l’accanimento di un esame microscopico, dal quale sortirebbe un referto iniquo. Ma sono un giornalista e non posso ignorare il riverbero mediatico che ha preceduto questo esordio, in ragione del suo frontman e per mano di un abile intreccio di marketing. Sette parole, insomma, non bastano. E siccome tocca spenderne qualcuna di più, mi appresto a sfogliare meriti e inciampi come fossero petali di una margherita. Mi piace o non mi piace questo Pisacco?


Mi piacciono le fondamenta e le premesse. L’idea che si possa fare ristorazione a un buon livello, senza tirare il collo alla clientela con prezzi fatali e anacronistici. Non mi piace la capziosa allusione giovanilista, che shakera assieme ristorante e cocktail-bar. Che infonde, in un ambiente già saturo di voci, l’urto acustico di una musica battente. Che semina tavolini grandi come francobolli al piano terra (quelli della sala in fondo alle scale sono più civili). Che nega le tovaglie, come se non fossero un argine ingienico, ma un antiquato orpello estetico.
Mi piace la convinta cortesia dei camerieri. Non mi piace il clima ansioso che perturba il servizio.
Mi piace lo sforzo di eseguire una cucina nobile e peculiare anche nelle scelte più convenzionali: è il caso della centimetrata semplicità degli spaghetti al pomodoro con crema di bufala o del morbidisissmo calamaro alla piastra innervato da cipollotto e salsina di avocado con giusta dose di lime.
Non mi piacciono alcune scelte e alcune esecuzioni. Incomprensibile la presenza tra gli antipasti di una portata sazievole e disarmante come l’insalata di pollo, che sembra un piatto unico per fotomodelle. Urticante l’asservimento a certe mode correnti, come l’uso incontinente del limone, col quale vengono assassinati due dei piatti meglio indirizzati: il risotto allo zafferano con medaglione di ragù e la soave guancia di manzo brasata galleggiante in citrica purea. Incomprensibile il “vitello tonnato” (denominazione che, alla prova dei fatti, appare sarcastica), consistente in un montucolo di sedano macchiato da gocce di salsa al tonno e sormontato da fettine di vitello scondite, nude come cuoco (Matteo Gelmini) le ha fatte.

Mi piace, infine, la moderatezza del conto che non supera il muro dei 30 euro (bere a parte) e che spinge a una indulgente visione d’insieme.
E allora? Qual è la sintesi di questo Pisacco? Cancelliamo tutto e torniamo all’incipit: si mangia benino e si spende poco.

Pisacco, via Solferino 48  Tel 02.91.76.54.72
chiuso lunedì e alla cena di domenica. Sito

Il blog di Valerio M.Visintin Mangiare a Milano